Dopo aver rimandato a lungo, ci siamo decisi, ovviamente a ridosso del Natale. Bisogna raggiungere il famoso negozio svedese sul Grande Raccordo, comprare gli elementi della libreria, segarli alla misura giusta perché stiano sotto le finestre, pitturarli, montarli e fissarli alla parete. Chi può farlo? Lei no di certo, io meno che meno. Potremmo provarci insieme, ma quando ci mettiamo all´opera gomito a gomito siamo peggio di Stanlio e Ollio. E poi dove pitturiamo venti scaffali e sei montanti, in soggiorno? Serve una persona di fiducia. Be´, è venuto quello a ripararci le tapparelle tempo fa, come si chiamava? Già, come si chiamava. Sul frigo, tra i foglietti attaccati con le calamite, c´è un numero di cellulare, il nome sottolineato due volte, Radu. Telefono a Radu. Le tapparelle, si ricorda? Sì, certo. Gli propongo un sopralluogo per il preventivo e lui accetta.
L´indomani di primo mattino apro la porta e resto un po´ perplesso, non mi sembra di riconoscere l´uomo che ho di fronte. Anche lui, entrando, deve ammettere di non aver mai messo piede in casa nostra. Si è confuso, dice. Ha aggiustato tapparelle in una via poco lontano. Lei lo guarda con una certa diffidenza. In effetti, non ha neanche l´aria di un operaio. Ha le mani come le mie, litiga col metro per prendere le misure, parla con una curiosa affettazione, l´accento rumeno si sente appena. Tutti e tre siamo piuttosto stupiti della presenza del suo nome sul nostro frigo. Chi ci ha passato il numero? Lei mi interroga con lo sguardo (la scrittura sul foglietto è mia), io cerco di colmare l´amnesia interrogando lui. Ha forse lavorato da Loredana? È forse amico di Alberto? Di Aurel? Di Aurelian? Esauriamo l´elenco dei rumeni che nel corso degli anni sono venuti a rifare l´impianto elettrico, cambiare i serramenti, lamare il parquet, esauriamo ogni altro possibile contatto rassegnandoci al mistero.
Il foglietto sul frigo
Nessuno saprà mai come Radu, un uomo affabile sui quarant´anni, sia arrivato a noi, e noi a lui. In ogni caso c´è quella doppia sottolineatura sul foglietto, l´avrò pure fatta per qualche ragione. O forse no. Solitamente di che si occupa? Ha lavorato per anni in un albergo, prima che chiudesse da un giorno all´altro, dice. Un concierge? Preferisce non aggiungere altro, beve il caffè sorridendoci coi suoi modi pieni di garbo. Io e lei ci guardiamo. Quanto verrebbe il lavoro? Lui indugia qualche istante, poi dice: centocinquanta, più le spese del materiale. Mi sembra pochissimo. Anche a lei, almeno a giudicare da quell´alzata di sopracciglia mal dissimulata. Quando potrebbe venire? Non prima di venerdì prossimo. Un´altra occhiata di consulto tra me e lei, va bene, affare fatto. E siamo al momento dell´acconto. Il costo della libreria lo sappiamo dal sito del famoso negozio, sulla pittura pennelli eccetera siamo impreparati. Ma ora non c´è tempo, la giornata deve ancora cominciare e siamo già in ritardo. Ci accordiamo per duecento. Io metto le banconote sul tavolo, Radu le raccoglie, mi stringe la mano, fa un cenno di saluto a lei, un po´ discosta, e scompare nella nebbiolina mattutina da cui era apparso.
La telefonata
Fino a che punto siamo disposti a fidarci di uno sconosciuto? Tornerà Radu? Avremo la nostra libreria? Ridiamo insieme della nostra ingenuità mentre ci prepariamo per uscire. La giornata incalza, ci penseremo meglio stasera. Dopo qualche giorno, tornano i dubbi. Vedrai che viene. E se non viene? Duecento euro fanno comodo, perderli così è da sciocchi. Sì, però è bello fidarsi, la parola, la fiducia sulla parola. Mmh, storce la bocca, mi convince a una chiamata esplorativa. Radu non risponde. Riprovo, niente. Certo, che figura. Un minimo di amor proprio, insomma. Il giorno dopo mi attacco al telefono. Radu risponde. È gentile, ma un po´ seccato, non può parlare a lungo, sta lavorando, verrà venerdì, e mette giù. Tu guarda questo che faccia tosta, si offende pure. Già, ma a ripensarci, perché non dovrebbe offendersi? Eravamo d´accordo per venerdì e mancano ancora tre giorni. Giovedì a cena abbiamo di nuovo la tentazione di chiamare, ma poi lasciamo perdere, vada come vada, una piccola scommessa sulla fiducia, in fondo è stato bello crederci. Brindiamo ai nostri duecento euro involati verso l´isola Utopia.
Il resto di Radu
Invece, guarda un po´, venerdì mattina Radu arriva di buonora, saluta, beve il caffè (preparato da lei con mille sensi di colpa) e fa quello che si direbbe un lavoro a regola d´arte. Alla fine viene il momento di pagarlo. Si era detto centocinquanta, giusto? Lui si massaggia il mento, poi dice: sì, però il materiale è costato meno, sono avanzati quaranta euro, quindi mi dovete ancora centodieci. Buon Natale, Radu. Al suo nome vero, lì, sul frigo, ho aggiunto un´altra sottolineatura.
*scritto da Mauro Covacich e pubblicato su Corriere.it
https://www.google.it/amp/www.corriere.it/cronache/17_dicembre_22/racconto-di-natale-fidiamoci-degli-altri-fca2917c-e74f-11e7-9bc3-c44cfbe0d3dd_amp.html