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Donazione modale, risoluzione per inadempimento, ecco il dies a quo per il computo della prescrizione

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Con sentenza n. 24131 del 3 ottobre 2018, la Corte di Cassazione ha stabilito che l'azione di risoluzione della donazione modale per inadempimento dell'onere incombente in capo al donatario, non può più essere proposta qualora siano decorsi dieci anni dal momento in cui ha avuto luogo l'inadempimento. Qualsiasi altra data (come per esempio quella di conclusione del contratto di donazione o dell'acquisizione della qualità di erede) è irrilevante ai fini del computo della prescrizione. Ma vediamo nel dettaglio la questione sottoposta all'attenzione dei Giudici di legittimità. I ricorrenti sono stati nominati eredi da un loro parente attraverso un testamento olografo, impugnato successivamente dal Comune (nominato erede in un precedente testamento). Il parente defunto, a sua volta, quando era ancora in vita, ha donato ad una congregazione religiosa un immobile; si tratta, nella specie, di una donazione modale, ossia di una donazione che prevede l'adempimento di un onere da parte del donatario. È accaduto che detto onere non è stato mai assolto dalla congregazione e a causa di tale inadempimento il de cuius, prima del suo decesso, ha proposto azione di risoluzione del contratto di donazione. Nel corso di tale giudizio, il donante è deceduto e la causa è stata cancellata dal ruolo, senza mai essere riassunta nei termini dagli eredi. Questi ultimi, dopo aver vinto il giudizio su citato contro il Comune, hanno riproposto l'azione di risoluzione del contratto di donazione per inadempimento nei confronti della congregazione donataria. A tale azione, quest'ultima si è opposta, eccependo l'intervenuta prescrizione atteso il decorso di oltre 10 anni dalla data dell'inadempimento e dalla data dell'atto interruttivo compiuto dal de cuius (introduzione della prima causa di risoluzione). Sia in primo che in secondo grado, i Giudici hanno accolto l'eccezione di prescrizione della donataria e hanno rigettato la domanda dei ricorrenti. Così il caso è giunto dinanzi alla Suprema Corte di Cassazione.  

Prima di esaminare la questione in oggetto, è bene evidenziare che l'art. 793 c.c. stabilisce che "la donazione può essere gravata da un onere [...] e che la risoluzione per inadempimento dell'onere, se preveduta nell'atto di donazione, può essere domandata dal donante o dai suoi eredi". L'azione di risoluzione può essere esercitata entro dieci anni dal momento dell'inadempimento. Questo termine, ai sensi dell'art. 2945 c.c., si interrompe se viene compiuto e notificato un atto con cui si introduce un giudizio di cognizione. In tali casi la prescrizione riprende a decorrere dal momento in cui la sentenza che definisce il giudizio diventa definitiva. Se il processo si interrompe, per esempio per morte dell'attore, rimane fermo l'effetto interruttivo e il nuovo periodo di prescrizione comincia a decorrere, qualora la causa non sia riassunta, dalla data del primo atto interruttivo compiuto. Da questa breve premessa normativa, appare evidente che non esiste un diverso momento iniziale per la decorrenza del termine di prescrizione dell'azione di risoluzione, al di fuori di quelli su descritti. Circostanza, questa, peraltro, confermata anche dal pacifico orientamento della giurisprudenza, secondo cui "l'azione di risoluzione della donazione modale per l'inadempimento dell'onere in essa stabilito a carico del donatario, può essere proposta solo dal momento in cui si verifica tale inadempimento […] [Cass. Sez.2, Sentenza n.5066 del 03/10/1979 (Rv. 401718)]". Orbene, tornando alla fattispecie di cui stiamo discorrendo, i Giudici di legittimità evidenziano che nel caso in esame, l'azione di risoluzione è stata inizialmente proposta nei termini dal de cuius; successivamente al decesso di quest'ultimo, la causa si è estinta e il termine di prescrizione ha ripreso a decorrere. Da quel momento sino all'introduzione del nuovo giudizio di risoluzione da parte degli eredi, sono passati 30 anni. Ne consegue che tale giudizio non poteva essere riproposto per intervenuta prescrizione.  

A nulla rileva la circostanza che i ricorrenti fossero solo chiamati all'eredità al momento del decesso del de cuius e che solo all'esito del giudizio contro il Comune avessero acquisito la qualità di eredi. E ciò sulla base della considerazione, secondo cui, sebbene l'art. 793 c.c. consideri tra i legittimati a proporre l'azione in questione gli eredi e non i chiamati all'eredità, nella fattispecie in esame, tale distinzione non assume rilievo. Invero, che i ricorrenti fossero già eredi discende dal fatto che essi, nel giudizio di impugnazione del testamento olografo promosso dal Comune, chiedendo l'accertamento della validità di tale testamento, hanno chiaramente manifestato la loro volontà di accettare l'eredità, seppur tacitamente. In punto, appare opportuno ricordare che la giurisprudenza è costante nel ritenere che "[...] l'accettazione tacita dell'eredità può desumersi dall'esplicazione di un'attività personale del chiamato incompatibile con la volontà di rinunciarvi". In pratica, il chiamato all'eredità deve assumere "[...] un comportamento tale da presupporre la volontà di accettare l'eredità, quali possono essere, ad esempio, le azioni giudiziarie, che [..] il chiamato non avrebbe diritto di proporle se non presupponendo di voler far propri i diritti successori". Orbene, nel caso di specie, la richiesta di accertamento della validità del testamento olografo rientra proprio tra questo tipo di azioni, con l'ovvia conseguenza che i ricorrenti avevano acquisito la qualità di eredi e non erano più semplici chiamati all'eredità. Per tale motivo, essi ben avrebbero potuto agire in giudizio per la risoluzione della donazione, subito dopo il decesso del de cuius, e, in pendenza della causa contro il Comune, avrebbero potuto chiedere che quello per la risoluzione fosse sospeso in attesa dell'esito di tale causa. In questo modo avrebbero evitato che l'azione di risoluzione della donazione per inadempimento si prescrivesse. Alla luce delle considerazioni sin qui svolte, pertanto, la Suprema Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, confermando la sentenza impugnata.

 

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