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Domanda di equa riparazione ammissibile anche in caso di mancata presentazione dell’istanza di accelerazione.

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Il 13 luglio scorso, la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 142, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 2, comma 1, della legge 24 marzo 2001, n. 89 (Previsione di equa riparazione in caso di violazione del termine ragionevole del processo e modifica dell'articolo 375 del codice di procedura civile), nella parte in cui prevede l'inammissibilità della domanda di equa riparazione nel caso di mancato esperimento del rimedio preventivo di cui all'art. 1-ter, comma 6, della medesima legge.

L'art. 1-ter è stato introdotto nella legge 89/2001 dalla legge n. 208 del 2015 al fine di velocizzare i processi e, per quanto concerne il giudizio di legittimità, al comma 6 dispone che, nei giudizi davanti alla Corte di cassazione, la parte ha diritto a depositare un'istanza di accelerazione almeno due mesi prima che sia trascorso il termine di un anno dall'instaurazione del giudizio. 

Sebbene la norma qualifichi l'istanza di accelerazione come un "diritto" della parte ricorrente, l'istituto, come evidenziato dalla Corte, opera concretamente come un onere, poiché l'omissione di tale adempimento nei termini prescritti è sanzionata con l'inammissibilità dell'intera domanda di equo indennizzo.

Un simile congegno normativo non poteva non destare perplessità, e, infatti, la Corte d'Appello di Firenze, investita di un'opposizione ex art. 5-ter della legge n. 89 del 2001, sollevando la questione di legittimità costituzionale del solo art. 1-ter, comma 6, della legge 24 marzo 2001, n. 89, ha spronato la Corte Costituzionale a valutare la conformità alla Costituzione dell'intero meccanismo. 

Ricordando la giurisprudenza della CEDU, il giudice delle leggi ha affermato che i rimedi preventivi (come l'istanza di accelerazione) in quanto volti ad accelerare l'iter procedurale, sono ammissibili solo a condizione che il loro esperimento renda effettivamente più sollecita la decisione da parte del giudice.

Al contrario, ha osservato la Corte, l'istanza di accelerazione disegnata dalla legge 24 marzo 2001, n. 89, risulta priva di alcuna reale efficacia acceleratoria del processo: la sua proposizione non innesta alcun modello procedimentale alternativo, né implica una priorità nella trattazione del giudizio, ciò nemmeno a seguito delle novità introdotte dal D.Lgs. 149/22.

Infatti, anche se l'art. 3, comma 28, lettera g), del decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 149 (Attuazione della legge 26 novembre 2021, n. 206, ha introdotto - con il nuovo art. 380-bis c.p.c. - un rito accelerato anche nell'ambito del giudizio davanti alla Corte di cassazione, il legislatore della riforma non ha inteso instaurare alcun collegamento diretto tra l'istanza disciplinata dalle disposizioni censurate e il suddetto rito accelerato.

La mancata presentazione dell'istanza di accelerazione, ha concluso la Corte Costituzionale, può, dunque, al più, assumere rilievo ai fini della determinazione del quantum dell'indennizzo ex lege n. 89/2001, ma mai può condizionare la stessa ammissibilità della domanda di equa riparazione. 

 

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