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Direzione lavori su beni di interesse storico, non è discriminatorio riservare il ruolo ai soli architetti

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Con la pronuncia n. 3718, il Tar di Napoli, adito da un ingegnere, ha ritenuto non discriminatoria la scelta, compiuta da un ente pubblico, di affidare l'incarico di direttore dei lavori a un architetto, in quanto appartenente ad una categoria ritenuta, per legge, professionalmente adeguata ad effettuare interventi su immobili gravati da vincolo storico – artistico, sul presupposto "non contrasta con il diritto comunitario, la normativa nazionale secondo cui la progettazione e la direzione lavori su beni di interesse storico e/o artistico – al fine di garantire che a progettare interventi edilizi su immobili di interesse storico-artistico siano professionisti forniti di una specifica preparazione nel campo delle arti – è riservata ai soli architetti".

Il caso sottoposto all'attenzione della Cassazione prende spunto dal ricorso presentato da un ingegnere – inizialmente incaricato per la progettazione esecutiva di alcuni lavori di riqualificazione di una struttura comunale – il quale impugnava una determina dirigenziale con la quale veniva disposta la sua pretermissione dalla procedura successivamente indetta dall'ente locale per l'affidamento dell'incarico di direttore dei summenzionati lavori.

In particolare il ricorrente evidenziava che, rigettata la sua candidatura, l'incarico veniva affidato ad un architetto.

Nel provvedimento impugnato, il dirigente richiamava una pronuncia del T.A.R. Veneto secondo cui gli interventi di restauro e recupero di edifici vincolati come beni culturali e di interesse storico - artistico erano di competenza esclusiva degli architetti e non degli ingegneri: in virtù di tanto, essendo l'edificio oggetto dell'intervento un bene culturale di interesse storico, l'amministrazione affidava l'incarico, all'esito di una specifica procedura selettiva, ad un architetto. 

 L'ingegnere eccepiva come la scelta del dirigente fosse stata irragionevole e discriminatoria: a sostegno delle sue ragioni deduceva come l'art. 130 del d.lgs. n. 163/2006, nella formulazione vigente ratione temporis, nel sancire un ordine di priorità nella scelta dei soggetti chiamati ad espletare l'incarico di direzione dei lavori, stabiliva espressamente come dovesse accordarsi preferenza per il professionista incaricato della progettazione: il ricorrente riteneva quindi che, in forza di tale previsione, l'amministrazione avrebbe dovuto preferirlo, avendo il medesimo precedentemente curato la progettazione esecutiva dei medesimi lavori.

In seconda istanza, il professionista contestava che, nel caso di specie, si fosse in presenza di un immobile sottoposto a vincolo e che, ad ogni modo, era irragionevole preferire un architetto dal momento che nelle precedenti fasi della progettazione preliminare e definitiva, l'incarico era stato svolto da un ingegnere, ragion per cui non aveva senso richiedere una diversa professionalità per un'attività, quella di direzione dei lavori, che si pone su un piano di diretta esecuzione e completamento della prima.

Il Tar non condivide le difese mosse dal ricorrente.

I Giudicanti – premesso che gli interventi di restauro e recupero andavano effettuati su un sito con elevato interesse storico-artistico, sottoposti a tutela ai sensi delle disposizioni in materia di beni culturali e ambientali – non reputano illegittima la scelta dell'amministrazione comunale resistente di riservare la direzione dei lavori ad un professionista in possesso della qualifica di architetto.

Sotto altro aspetto, i Supremi Giudici rilevano che lo stesso regolamento per le professioni di ingegnere e di architetto (R.D. n. 2537/1925) prevede espressamente che "le opere di edilizia civile che presentano rilevante carattere artistico ed il restauro e il ripristino degli edifici contemplati dalla L. 20 giugno 1909, n. 364, per l'antichità e le belle arti, sono di spettanza della professione di architetto; ma la parte tecnica può essere compiuta tanto dall'architetto quanto dall'ingegnere".

 Ciò posto, la giurisprudenza ha evidenziato come la riserva di competenza degli architetti – oltre ad estendersi agli interventi realizzati su immobili non assoggettati a vincolo quando presentino "rilevante interesse artistico" – sussiste in via esclusiva per ogni tipologia di intervento su immobili gravati da vincolo storico-artistico, ad eccezione delle attività propriamente tecniche di edilizia civile per le quali si prevede la competenza anche degli ingegneri.

Anche il Consiglio di Stato, richiamando la giurisprudenza comunitaria, ha chiarito che l'esercizio di attività relative ad immobili di interesse storico-artistico è consentito ai soli professionisti che (al di là del nomen iuris del titolo posseduto) possano vantare un percorso formativo adeguatamente finalizzato all'esercizio delle attività tipiche della professione di architetto: in particolare, non contrasta con il diritto comunitario, la normativa nazionale secondo cui la progettazione e la direzione lavori su beni di interesse storico e/o artistico – al fine di garantire che a progettare interventi edilizi su immobili di interesse storico-artistico siano professionisti forniti di una specifica preparazione nel campo delle arti – è riservata agli architetti.

Chiarito il quadro normativo, il Tar non ravvisa alcuna illegittimità nella scelta perseguita dall'azione amministrativa; d'altra parte, la circostanza che la progettazione esecutiva fosse stata eseguita da un ingegnere e non da un architetto non escludeva che, avvedutasi delle proprie scelte, l'amministrazione potesse legittimamente affidare la direzione dei lavori in conformità alle richiamate disposizione normativa.

In conclusione i giudici amministrativi rigettano il ricorso.

 

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