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Condannato per detenzione e spaccio di droga, legittimo licenziamento in tronco

La detenzione e lo spaccio di sostanze stupefacenti, conseguenze penali a parte, può determinare la risoluzione del rapporto di lavoro intrattenuto dal dipendente oppure i predetti comportamenti, seppure riprovevoli sul piano morale, si collocano nell´ambito di quelli insindacabili, in quanto riguardanti la sfera privata dell´interessato ?
Su questa delicatissima questione, si sono pronunciati i Supremi Giudici di Cassazione, sezione lavoro, con Sentenza n. 24023 del 2016, cassando la sentenza, di ben altro tenore, del giudice di merito territoriale.
La decisione della Suprema Corte
I Giudici di Cassazione, infatti, prendendo in esame il caso di un dipendente bancario condannato per detenzione e spaccio di marijuana in sede penale, hanno ritenuto del tutto legittimo il licenziamento irrogato in tronco dall´Istituto di credito, essendo la condotta del dipendente tale da far venir meno il vincolo fiduciario necessario in ogni rapporto sinallagmatico e particolarmente importante in determinati settori delicatissimi come quello bancario.
Il giudizio della Cassazione si è differenziato da quello cui era approdata la Corte territoriale.
Nonostante la posta in essere delle condotte delittuose di cui sopra avesse portato l´uomo a subire una «condanna a tre anni di reclusione e 12mila euro di multa» per «detenzione e spaccio» di quasi un chilo e 400 grammi di marijuana, tale comportamento non era stato ritenuto dai Giudici dei primi due gradi di giudizio tale da compromettere il rapporto di lavoro in sé, sulla base del principio della insindacabilità del comportamento extra lavorativo del dipendente.
Tale iter motivazionale non è stato però condiviso dai Giudici di Piazza Cavour, che hanno, come detto, ritenuto la condotta dell´uomo particolarmente grave, anche in virtù della sua collocazione professionale all´interno dell´istituto bancario.
Una tale condotta, secondo i Giudici, legittimamente può dar luogo alla adozione della sanzione espulsiva da parte del datore di lavoro. Ciò, non solo per il venir meno del su detto vincolo fiduciario, ma anche alla luce della particolare posizione del dipendente, distinta dal continuo collegamento col pubblico, potenziale consumatore, trattandosi nella specie di un "operatore di sportello".
In ordine, poi, all´elemento fiduciario, i Supremi Giudici hanno ritenuto di evidenziare come il concetto di giusta causa non si limiti all´inadempimento tanto grave da giustificare la risoluzione immediata del rapporto di lavoro, ma si estenda anche a condotte extra lavorative che, tenute al di fuori dell´azienda e dell´orario di lavoro e non direttamente riguardanti l´esecuzione della prestazione lavorativa, nondimeno possano essere tali da ledere irrimediabilmente il vincolo fiduciario tra le parti.
Infatti, anche condotte concernenti la vita privata del lavoratore possono in concreto risultare idonee a ledere irrimediabilmente il vincolo fiduciario, allorquando abbiano un riflesso, sia pure soltanto potenziale ma oggettivo, sulla funzionalità del rapporto compromettendo le aspettative d´un futuro puntuale adempimento dell´obbligazione lavorativa, in relazione alle specifiche mansioni o alla particolare attività. Parimenti, comportamenti extra lavorativi imputabili al lavoratore possono colpire interessi del datore di lavoro, violando obblighi di protezione: il lavoratore è tenuto, infatti, non solo a fornire la prestazione richiesta, ma anche, quale obbligo accessorio, a non porre in essere, fuori dall´ambito lavorativo, comportamenti tali da ledere gli interessi morali e materiali del datore di lavoro o comprometterne il rapporto fiduciario.
Per le ragioni sopra esposte, il ricorso è stato quindi accolto, con la cassazione della sentenza impugnata, con rinvio.
Sentenza allegata

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