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Diffamazione a mezzo stampa: la Cassazione censura informazione scandalistica e populista, giornalista condannato

La Quinta Sezione Penale della Corte di Cassazione con la sentenza n. 6463 del 2016, ha ribadito il pieno principio del diritto di cronaca e di critica del giornalista, purchè il fatto riportato sia esattamente corrispondente al vero, precisando che la “immutatio veri” si potrà avere anche con l’utilizzo di insinuazioni e maliziose allusioni.
Il fatto.
Con un articolo pubblicato su un noto quotidiano della carta stampata, si sosteneva che un avvocato era stato nominato consulente di un consorzio campano e che per la medesima attività fosse stato ricompensato più volte, una volta per le sue 130 consulenze e una seconda volta per l’attività oggetto della convenzione. Facendo intendere quindi il giornalista che il professionista fosse stato ricompensato più volte per la medesima attività.
L’autore dell’articolo e il direttore del quotidiano venivano sottoposti a processo e condannati in primo grado per il reato di diffamazione a mezzo stampa poiché nella ricostruzione del fatto era venuto meno il requisito della verità del fatto e conseguentemente escluso l’esercizio del diritto di critica.
La sentenza di primo grado veniva appellata dagli imputati e la Corte di Appello li assolveva poiché il diritto di critica, a differenza del diritto di cronaca, consiste in un’attività di valutazione, di giudizio e non nella ricostruzione obbiettiva di un fatto.
La sentenza veniva impugnata avanti la Corte di Cassazione dalla parte civile, e la Suprema Corte accoglieva il ricorso.
Con la sentenza citata la Corte ha spiegato che il diritto di critica è un diritto sacrosanto costituzionalmente garantito ma solo quando si riferisce a fatti oggettivamente veri.
Secondo i supremi giudici, quindi, non può esercitarsi il diritto di critica se i fatti non corrispondano alla verità. Nel caso di specie risultava vero che l’avvocato fosse stato ricompensato per la sua attività professionale espletata in favore del Consorzio campano, ma non era fondata la notizia che si trattava della medesima attività. Infatti il professionista risultava essere stato ricompensato per due attività professionali distinte: una volta per le consulenze in materia di diritto amministrativo oggetto della convenzione e una seconda volta per gli incarichi assunti nella difesa in giudizio dell’ente medesimo.
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