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Dichiarazione dei redditi: ritrattabilità in sede contenziosa

Dichiarazione dei redditi: ritrattabilità in sede contenziosa

Riferimenti normativi: D.P.R. 322/1998 – Art.36 bis D.P.R.n.600/73

Focus: Annualmente ogni contribuente, sia esso persona fisica, lavoratore autonomo, ditta individuale o amministratore di società di persone o di capitali, ha l'obbligo di presentare all'Agenzia delle Entrate la dichiarazione dei redditi percepiti nel periodo di imposta. La dichiarazione dei redditi può essere corretta in sede contenziosa perché viziata da un errore di fatto o di diritto?

Principi generali: In generale, il contribuente, nel caso in cui si accorga di aver commesso un errore in una dichiarazione presentata, perché ad esempio ha dimenticato di riportare una detrazione fiscale o ha omesso di inserire un reddito che influisce sulla determinazione dell'imposta dovuta, può porre rimedio in due modi: 1)Mediante dichiarazione integrativa da presentare entro il termine di presentazione della dichiarazione successiva. In tal caso, qualora emerga un credito, questo può essere utilizzato in compensazione dei debiti maturati a partire dal periodo d'imposta successivo a quello in cui è stata presentata la dichiarazione integrativa (art. 2 - comma 8bis -del D.P.R. 322/1998). 2) Mediante istanza di rimborso da presentare entro il termine di decadenza di quarantotto mesi dalla data del versamento del saldo della dichiarazione errata (art. 38 del D.P.R. 602/72)

La differenza tra la prima e la seconda possibilità è data dal fatto che la dichiarazione rettificativa svolge la stessa funzione della dichiarazione originaria, per cui l'Ufficio impositore svolgerà i suoi poteri di controllo e di accertamento valutando anche i fatti ulteriori indicati dal contribuente, mentre con l'istanza di rimborso non deriva alcuna modificazione al contenuto della dichiarazione originaria, quindi l'attività di controllo e di accertamento dell'Amministrazione finanziaria continuerà a fare riferimento esclusivamente alla dichiarazione presentata. Cosa può fare il contribuente se non si è avvalso dei rimedi suddetti ed ha ricevuto la notifica di una cartella di pagamento o di un avviso di accertamento fondato sull'errore dichiarativo? 

A tal riguardo la Corte di Cassazione a Sezioni Unite, con la sentenza n.13378 del 30 giugno 2016, nell'accogliere l'orientamento giurisprudenziale più favorevole al contribuente, ha affermato che la dichiarazione tributaria deve considerarsi sempre e comunque emendabile, finanche in sede contenziosa. La pronuncia suddetta ha riconosciuto che gli errori, anche di natura sostanziale, commessi dal contribuente nella redazione della dichiarazione dei redditi, possono essere fatti valere in giudizio, impugnando l'atto impositivo e contestando il fondamento della pretesa tributaria. La Corte di Cassazione di recente si è pronunciata sulla questione con l'Ordinanza n.18405 del 30/06/2021. Nel caso di specie l'Agenzia delle Entrate, a seguito di controllo della dichiarazione dei redditi di una società s.r.l. ha emesso nei confronti della stessa una cartella di pagamento, ai sensi dell'art.36 bis D.P.R.n.600/73, per Iva, Ires e Irap, anno di imposta 2005, perché la società aveva compensato il credito d'imposta derivante da un'operazione di incorporazione per fusione della società senza indicarlo nella dichiarazione modello unico 2006.

La contribuente ha impugnato la cartella deducendo la sussistenza del credito e che la pretesa impositiva scaturiva dalla mera erronea compilazione della dichiarazione per l'anno 2005. Eccepiva, quindi, l'omesso invio della comunicazione di irregolarità da parte dell'Agenzia delle Entrate. Il ricorso è stato accolto dalla Commissione tributaria provinciale con sentenza favorevole alla contribuente, sentenza che veniva, però, parzialmente riformata dalla Commissione tributaria regionale. Quest'ultima, infatti, da un lato, ha ritento fondata la pretesa dell'Ufficio in presenza di omessa dichiarazione integrativa da parte del contribuente soggetta ai termini di cui all'art.2, comma 8 bis, D.P.R. n.322/1998, dall'altro lato ha dato ragione alla contribuente in quanto ha ritenuto non dovute le sanzioni e gli interessi per l'omesso invio della comunicazione di irregolarità. L'Agenzia delle Entrate ha impugnato la sentenza dinanzi alla Corte di Cassazione. La società, con ricorso incidentale, ha denunciato la violazione e falsa applicazione dell'art.2, comma 8 bis, del D.P.R.n.322/1998, da parte della commissione tributaria regionale secondo la quale l'omessa presentazione della dichiarazione integrativa nei termini previsti dalla norma preclude al contribuente la possibilità di veder riconosciuto il proprio credito, erroneamente non dichiarato nella dichiarazione. La Suprema Corte, a tal riguardo, ha richiamato la giurisprudenza delle Sezioni Unite (sentenze n. 13378 e n. 17757 del 2016) secondo la quale il contribuente in sede contenziosa può sempre opporsi alla maggiore pretesa tributaria dell'Amministrazione finanziaria, allegando errori, di fatto o di diritto, commessi nella redazione della dichiarazione, incidenti sull'obbligazione tributaria. In altri termini, la dichiarazione dei redditi, in quanto dichiarazione di scienza, è emendabile e ritrattabile, per cui il contribuente è sempre ammesso, in sede contenziosa, a provare che l'originaria dichiarazione era viziata da un errore di fatto o di diritto e che il presupposto impositivo non era sussistente. Però, in applicazione delle regole generali sulla distribuzione dell'onere probatorio stabilite dall'art. 2697 c.c., spetta al contribuente che "ritratta" la propria dichiarazione provare il fatto impedivo della obbligazione tributaria (Cass. n. 27127 del 28/12/2016; Cass. n. 26550 del 21/12/2016; Cass. n. 5728 del 09/03/2018) e, nella fattispecie, l'effettività del credito vantato.

 

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