Lo ha stabilito la Corte di Cassazione con Sentenza n. 5056 del 2016.
I Giudici della Suprema Corte a tal proposito hanno precisato che, premesso che nella specie la lavoratrice non lamentava alcun mutamento di mansioni, bensì un aggravio della prestazione che, a suo dire, era stata causata dalla necessità di disimpegnarla non più presso il proprio domicilio, bensì nei locali aziendali, la determinazione del luogo della prestazione lavorativa rientra nella potestà organizzativa datoriale e incontra un limite solo nelle previsioni dettate in materia di trasferimento del lavoratore, che nel caso in esame non sono suscettibili di venire in rilievo in ragione dell´impossibilità di ravvisare una autonoma unità produttiva presso il domicilio del dipendente, ivi potendo a tutto concedere situarsi una dipendenza aziendale rilevante ai fini di cui all´art. 413 c.p.c.
La Suprema Corte ha dunque ritenuto legittimo l´ordine aziendale di mutare il luogo della prestazione dal domicilio del lavoratore alla sede dell´azienda configurandosi il suo rifiuto piuttosto come volontà dimissionaria dante causa del licenziamento.
Il ricorso è stato dunque a ragione respinto dai Supremi Giudici.
Sentenza allegata
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