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Danilo Dolci un grande costruttore di visioni

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 Danilo Dolci: architetto, sociologo, educatore, scrittore e poeta, era nato a Sesana nel 1924, nelle vicinanze di Trieste, e ha concluso la sua esistenza terrena nel 1997 a Partitico in Sicilia, nelle vicinanze di Palermo.

Da una zona di frontiera all'altra.

Dal mondo asburgico, ai confini con la cosiddetta Mitteleuropa, a quello arabo-mediterraneo, ai confini con l'Africa.

Per chi ha una qualche pratica della cronaca, della storia e dell'ambiente che gravita sul territorio palermitano, sa anche che Montelepre, il regno del bandito Salvatore Giuliano, è confinante con Partitico. E la mafia, di ieri, di ieri l'altro e, un po' meno forse, di oggi, la fa da padrona.

Danilo Dolci arriva in Sicilia nel 1952 e si stabilisce a Trappeto, territorialmente confinante con Partitico, dove si trasferisce nel 1954. Erano le zone più depresse della Sicilia.

C'era da combattere, prima che contro la mafia e i proprietari terrieri, di feudale memoria, contro l'analfabetismo, il paganesimo, il fatalismo, la credenza negli incantesimi e nel ritenere legittimi perfino l'omicidio, in determinate situazioni (il famigerato "delitto d'onore" era perfino contemplato nel codice di procedura penale) come ricorderà più tardi Denis Mack Smith nella sua Storia d'Italia.

C'era da lottare per l'emancipazione della donna, per il riconoscimento dei diritti elementari. Individuali e collettivi. Bisognava frenare l'emorragia dell'emigrazione, soprattutto giovanile, e creare opportunità di lavoro. Ieri come oggi.

Ma c'era, impresa improba, da scardinare il connubio atavico tra mafia e politica, tra le organizzazioni malavitose e i "rappresentanti" delle istituzioni.

Danilo Dolci si inseriva il quella battaglia, iniziata subito dopo la fine della Seconda guerra mondiale, di riconoscimento dei diritti che altri intellettuali da Piero Calamandrei a Ernesto Rossi, da Giorgio La Pira a Carlo Arturo Jemolo, da Carlo Levi a Michele Pantaleone, altro personaggio scomodo siciliano, portavano avanti in tutta Italia affinché la Costituzione repubblicana italiana venisse attuata in tutti i suoi aspetti.

E sulla denuncia della "Costituzione inattuata" Piero Calamandrei, da quel grande giurista antifascista, ha scritto testi importanti, così come ci ricorda l'Accademico dei Lincei Luigi Mascilli Migliorini "…nel senso che prevaleva, nell'articolazione delle grandi istituzioni dello Stato –la burocrazia, la scuola, le forze dell'ordine, la magistratura-, il senso di una continuità col passato che vanificava poco e non solo il valore della lotta condotta contro la dittatura, ma anche, e soprattutto, la percezione di quel valore nell'opinione pubblica e nelle nuove generazioni dell'Italia post-fascista". La famosa "Rivoluzione che non fu mai data".

L'opera di Dolci in Sicilia, all'insegna della non violenza, si svolge nell'attuazione di strategie inedite e, come alcuni hanno sottolineato, di "senso contrario".

 Mancava il lavoro? Ecco che, con un esempio pratico, riesce a dimostrare che il lavoro c'è. Infatti, una delle sue tante azioni eclatanti, nel 1956 con un gruppo di disoccupati, di alcuni Comuni del territorio di Partitico, riesce a ripristinare una strada poderale con un lavoro gratuito di otto ore giornalieri. Uno "sciopero alla rovescia". Questo gesto "pericoloso" per le Autorità gli procurò una delle tante denunce per "occupazione di suolo pubblico". Famose le sue battaglie per il diritto dell'acqua la cui gestione, ieri come oggi, era in mano alle organizzazioni malavitose.

Di questa esperienza Dolci scrisse un dramma che prende le mosse dallo "sciopero alla rovescia", che lo aveva visto protagonisti con i disoccupati che avevano ripristinato la strada poderale e che furono denunciati e processati per "occupazione di suolo pubblico".

Dolci e i suoi compagni di avventura, subirono un processo.

E fu proprio Piero Calamandrei, in quell'occasione a scrivere in difesa di Dolci e dei suoi compagni: "Questo non è un processo penale, signori giudici. Dov'è il reo, il delinquente, il criminale? In che cosa consiste il delitto, chi lo ha commesso?".

E fu l'avvocato Nino Sorgi, difensore all'epoca di tutti i "poveri cristiani" che finivano nel percorso vessatorio del connubio politico-mafioso, ad affermare durante il processo contro Danilo Dolci: "E' la cultura italiana, che è venuta qui, in questa aula, per difendere se stessa dopo essersi sentita accusata allo stesso modo di Dolci il quale, intellettuale, ha compreso come non vi possa essere cultura dove siano ancora oscurantismo e privilegi". Stiamo parlando di oltre sessant'anni fa. Grande la tentazione di citare la storica frase di Tomasi di Lampedusa.

Fu l'iniziatore dello sciopero della fame. Almeno in Italia.

L'emancipazione delle donne, atavicamente costrette a lavorare solo ed esclusivamente per gli uomini di casa, dalla nascita alla morte, lo vede protagonista con un gruppo di intellettuali svizzero-tedeschi.

Ho conosciuto ad Uster(Canton Zurigo) il professor Karl Pellaton, che negli Anni cinquanta era stato il motore di un'iniziativa che porterà a Trappeto i telai, ed alcune maestranze di alcune industrie tessili di Uster, affinché le donne imparassero ad usarli per ricavare risorse finanziarie.

Quei primi contatti hanno portato altri giovani volontari svizzeri a collaborare con Dolci ed il suo Centro di ricerca per promuovere, e collaborare, a numerose iniziative che, teoricamente irrealizzabili per la mentalità burocratico - istituzionale, in pratica finirono per dimostrare il contrario, senza grossi investimenti economici e finanziari.

 Sicuramente in queste teorie di normale realizzazione, in un'area dove non esiste la normalità se non quella imposta dai faccendieri di turno, è stata individuata la "pericolosità" dell'uomo. Pericolosità che gli procurò ostruzionismo, processi ed ogni sorta di boicottaggio.

Nel 1975 Danilo Dolci venne a Locarno (Canton Ticino / Svizzera) per una contro- manifestazione del 50° Patto di Locarno. Ho avuto, in quell'occasione, la possibilità di avvicinarlo. Una figura imponente. Un gigante immerso in una tunica bianca che esprimeva, con lo stesso candore, le sue idee e le sue strategie. Il suo "essere – contro", non per partito preso, ma per necessità. Per scardinare l'ottusità, e i grandi interessi delle commistioni politico-mafiose.

E' del 1956 la sua denuncia "Inchiesta a Palermo", che si occupa degli affari della mafia e dell'accondiscendenza del potere politico. E' l'alba del famoso "Sacco di Palermo" in cui i "corleonesi" di Totò Riina e di Bernardo Provenzano si affacciano all'uscio delle cronache della criminalità e che trovano sponde entusiastiche nei politici dell'epoca: dal sindaco Vito Ciancimino alla sua corte del malaffare. Corte dove allevò i maggiorenti della politica siciliana, e nazionale, di ieri l'altro.

Quell'anno Dolci vince il Premio letterario "Viareggio" e l'anno dopo il Premio Lenin per la pace.

Ma Danilo Dolci non era solo testimone attento e rigoroso della cultura italiana. Le sue rubriche sul quotidiano "L'Ora" di Palermo, i suoi articoli, frutto dei numerosi viaggi all'estero (Paesi scandinavi, Asia, Paesi dell'Est europeo…), ne sono una testimonianza.

Danilo Dolci era stato più volte candidato al premio Nobel per la pace. E sicuramente l'avrebbe meritato. Ma l'ostracismo e la paura che la sua opera potesse fare proseliti in numero maggiore, soprattutto in Italia, soprattutto in Sicilia, ha fatto sì che Danilo Dolci sia più conosciuto all'estero che non in Italia.

Esemplare il giudizio, a suo tempo espresso da Erich Fromm, ripreso qualche decennio fa da Salvatore Ferlita: "Se la maggioranza degli individui non fosse così cieca davanti alla vera grandezza, Dolci sarebbe ancora più noto di quello che è. E' incoraggiante tuttavia il fatto che sono già molti coloro che lo capiscono: sono le persone per le quali la sua esistenza e il successo della sua opera alimentano la speranza nella sopravvivenza dell'uomo".

 

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