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Riceviamo dall'avv. Lina Caputo, cassazionista del foro di Roma questo articolo, che volentieri pubblichiamo.
Il "body shaming" (pronuncia: badi-sceming), per chi ancora non lo sa, è l'atto di deridere una persona per il suo aspetto fisico.
Già il deridere un individuo è in sé un atto deplorevole, farlo per la sua fisicità è talmente discutibile da esser diventato finalmente oggetto di interesse anche da parte della Cassazione.
Mi capita spesso, purtroppo, di difendere persone che siano vittime di body shaming e vi farei sentir raccontare il loro passato, quello che hanno subito da piccoli e continuano a subire da adulti: non credo che dopo racconti del genere ci sia individuo capace di non vedere la bellezza interiore di queste persone e il loro ingiusto e aggravato dolore, perché ci sono degli "scemi-ng" che si divertono ad insultare..
Dietro ogni persona si nasconde un mondo, dietro qualche kg in più o in meno, dietro qualche diversità, c'è un vissuto che non vediamo e non siamo tenuti a conoscere.
Quindi, impariamo ed insegniamo la Gentilezza, tramandiamo ai nostri figli l'amore per la diversità e non l'odio per ciò che è diverso da loro.
Il body shaming è un fenomeno che, negli ultimi anni, ha trovato terreno fertile proprio nell'utilizzo distorto dei social network i quali, ormai, hanno assunto la veste di vere e proprie gogne pubbliche: basti pensare al caso recentissimo di Armine Harutyunyan, 23 anni, modella armena, voluta e scelta per una passerella Gucci.
Costei, Armine, che non risponderebbe ai "canoni classici" della modella, è stata oggetto, via social, di offese e commenti sessisti e razzisti.
Io mi domando: perché insultarla? A quale scopo?
O, anche, il caso a noi più vicino di Tiziano Ferro che in una recente intervista a Mara Venier ha confidato di essere stato vittima, sin da piccolo, di bullismo perché "fuori-linea".
A volte sembra più facile insultare e deridere piuttosto che accettare e apprezzare la diversità, che è ciò che ci rende liberi, liberi di avere tutti delle possibilità nella vita, anche se non siamo "standard".
E per fortuna!
Il body shaming è una espressione di derivazione anglosassone e consiste in comportamenti che si concretizzano, mediante commenti sui social network, in offese del corpo che non corrisponderebbe ad una convenzionale, o già solo soggettiva, idea di bellezza.
Tale fenomeno, che offende – a mio parere - l'intelligenza umana, per chi la sa utilizzare, va combattuto ma anche nelle sedi giudiziarie.
Bisogna insegnare non solo che è sbagliato, ma che è un comportamento che crea nella vittima dei danni, che vanno poi risarciti.
Offendere un corpo umano integra, quindi, una forma di bullismo che, tuttavia, non ha ad oggetto soltanto donne e ragazze comuni ma, molto spesso, colpisce attrici, persone del mondo dello spettacolo/televisione le quali, ingrassando o mostrandosi con i propri difetti, e magari con (o senza) i propri chili, di cui molto spesso non si sa l'origine - e non deve interessare ad ogni modo nessuno - sono diventate il bersaglio preferito degli haters più disparati.
Ciò che rileva da un punto di vista giuridico è la portata diffusiva di un messaggio / commento denigratorio e la capacità dello stesso, attraverso il veicolo del social network, di "dare in pasto" una persona ai cosiddetti "leoni da tastiera".
Il fenomeno è talmente in espansione, con il proliferare della diffusione di messaggi offensivi attraverso piattaforme virtuali, che è stato necessario far intervenire la giurisprudenza a pronunciarsi sull'argomento.
E, finanche, la Suprema Corte.
Per cercare di fornire un orientamento unanime, e chiarire la portata giuridica del body shaming, la Corte di legittimità ha adottato una soluzione che ormai costituisce ius receptum: Essa ha stabilito che la diffusione di un messaggio ingiurioso mediante l'uso di un social network (sia esso facebook, instagram o altro) integra un'ipotesi di diffamazione aggravata ex art. 595, co. 3, c.p. (offesa arrecata con qualunque mezzo di pubblicità) attesa la possibilità, attraverso le summenzionate piattaforme, di attribuire al messaggio o comunque alla/e frasi incriminate una diffusione che, potenzialmente, ha la capacità di raggiungere un numero indeterminato di persone.
Stesso discorso vale quando le offese sono perpetrate con la modalità delle "stories" (di Instagram) che hanno durata di 24 ore. Si potrebbe pensare che la durata limitata alle 24 h dell'offesa possa escluderne la portata diffamatoria, ma così non è.
Il video (che rimane visibile sulla piattaforma per 24 ore) se contiene contenuti diffamatori e/o offensivi, lede la reputazione della vittima, ex art. 595 C.p., a prescindere dalla durata dell'esposizione sui social, e la lede nei suoi due corollari dell'onore in senso oggettivo (stima della quale l'individuo gode nella Comunità in cui vive) e soggettivo (sentimento di ciascun consociato rispetto alla propria dignità morale).
Quindi, ci troviamo di fronte ad una condotta diffamatoria tutte le volte in cui ravvisiamo: 1) la propalazione di frasi / espressioni ingiuriose; 2) l'assenza dell'offeso; 3) la precisa individuazione del destinatario delle suddette frasi ingiuriose; 4) la comunicazione con più persone in considerazione del carattere pubblico dello spazio virtuale e della capacità diffusiva del messaggio.
Tutte le volte in cui ci troviamo di fronte a questi elementi, si configura un'ipotesi di diffamazione aggravata che non può essere in alcun modo confusa con il diritto di satira: diritto, questo, che richiede, invece, i toni dell'ironia, il paradosso, un paragone surreale o un linguaggio burlesco, il tutto entro i confini della continenza espositiva.
La condotta diffamatoria aggravata procura un danno all'onore e alla reputazione che va, tuttavia, risarcito.
La Cassazione civile si è preoccupata del risarcimento del danno alla reputazione, per le vittime di body shaming o di diffamazione aggravata, ritenendo che si tratti di un danno risarcibile ex art. 2043 c.c. e, comunque, ex art. 2059 c.c. trattandosi di lesione di un diritto inviolabile costituzionalmente garantito.
Pertanto, come sostenuto dagli Ermellini, costituendo l'onore e la reputazione diritti fondamentali, costituzionalmente garantiti, la relativa violazione - determinata dalla censurabile condotta dell'autore della lesione - costituisce il presupposto del diritto al risarcimento del danno a prescindere dalla circostanza che il fatto lesivo integri o meno un'ipotesi di reato.
Appurata, quindi, l'esistenza di un danno, il problema successivo è quello relativo alla sua quantificazione.
Come si può quantificare il danno da lesione della reputazione e dell'onore?
A tal proposito, mi sembra doveroso sottolineare l'intervento dell'Osservatorio sulla Giustizia Civile del Tribunale di Milano, il quale ha analizzato i parametri di liquidazione del danno da diffamazione a mezzo stampa e con altri mezzi di comunicazione di massa e ha elaborato dei criteri orientativi per la quantificazione equitativa di tale danno nei casi in cui ne sia complicata la determinazione dell'entità economica.
Sono state, quindi, individuate 5 tipologie di diffamazione i cui range di gravità (ai quali sono abbinate delle ipotesi di liquidazione) si distinguono proprio in ragione della combinazione di quei parametri, di derivazione giurisprudenziale.
Quindi, posto che deridere una persona è un atto deplorevole, farlo per l'aspetto esteriore, lo è ancora di più.
Insegnate ad amare tutto ciò che è diverso, amandolo, insegnate che deridere una persona ed offenderla non è solo moralmente punibile ma ora lo è anche giuridicamente.
Insegnate a denunciare le violenze subite, perché anche quelle psicologiche sono devastanti.
Affinché io non debba più sentire racconti di bambini che insultano e riversano buste piene di escrementi addosso ad una loro compagna, perché non magra. Affinché non senta più racconti di bambini che vogliono togliersi la vita perché non si sentono "giusti" per questo mondo.
Perché, immaginate che quella bimba sia vostra figlia, vostra nipote, o potevate essere voi da piccoli.
Ne sareste felici?
Quel danno, secondo voi, è realmente risarcibile?
Vi rispondo io: no.
Pratichiamo la Gentilezza e rispettiamo le diversità, senza giudicarle.
Insegniamolo a noi stessi e ai bambini, che saranno gli adulti di domani.
Avv. Lina Caputo Patrocinante in Cassazione
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