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Costringe una minorenne all’invio di foto erotiche, Cassazione: “E’ violenza sessuale”

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Con la sentenza n. 25266 dello scorso 8 settembre, la III sezione penale della Corte di Cassazione – chiamata a vagliare l'istanza di un uomo soggetto alla misura della custodia cautelare in carcere per aver costretto una minorenne a inoltrargli delle sue foto senza reggiseno e a commentare una foto ritraente il membro maschile –ha respinto le tesi difensive del ragazzo secondo cui, in assenza di incontri con la persona offesa o di induzione a pratiche di autoerotismo via chat, sarebbe difettato l'atto sessuale volto al soddisfacimento dei propri impulsi.

Si è difatti specificato che nella violenza sessuale commessa mediante strumenti telematici di comunicazione a distanza, la mancanza di contatto fisico tra l'autore del reato e la vittima non è determinante ai fini dell'esclusione della fattispecie di reato.

Il caso sottoposto all'attenzione della Corte prende avvio con delle indagini investigative nei confronti di un ragazzo per il reato di cui agli art. 81, 609-bis e 609-ter c.p.: l'indagato veniva accusato di aver scritto una serie di messaggi di WhatsApp allusivi e sessualmente espliciti ad una ragazza, minore di età, costringendola a scattare e ad inoltrare una foto senza reggiseno nonché a ricevere una foto ritraente il membro maschile e commentarla, sotto la minaccia di pubblicare la chat su Instagram e su pagine hot. 

 Per tali fatti, il Giudice per le indagini preliminari di Pavia applicava all'indagato la misura della custodia cautelare in carcere per il reato di violenza sessuale.

Avverso la decisione l'indagato proponeva appello al Tribunale del Riesame di Milano che, tuttavia, respingeva il gravame confermando la misura restrittiva adottata.

L'uomo proponeva ricorso per Cassazione deducendo la violazione di legge e vizio di motivazione, in ordine ai gravi indizi di colpevolezza.

A tal fine osserva che il fatto non era sussumibile sotto l'art. 609-bis, in quanto non era stata intaccata l'integrità psico-fisica della minore, secondo il corretto sviluppo della sua sessualità, quale bene giuridico tutelato dalla norma in contestazione.

In particolare, la difesa del ragazzo evidenziava come la condotta tenuta dall'indagato non aveva leso la sfera sessuale della minore per assenza di una qualsivoglia richiesta di rapporto sessuale volta al soddisfacimento dei propri impulsi: non vi era stata alcuna proposta di incontro o di sesso via chat e, ad ogni modo, mancava l'atto sessuale, non essendo avvenuto alcun incontro tra lui e la presunta persona offesa; la condotta illecita si era limitata all'invio di una propria foto nuda, con l'invito rivolto alla ragazza ad un commento, nonché alla ricezione di una foto della ragazza senza reggiseno.

La Cassazione non condivide le tesi difensive dell'imputato.

 La Corte ricorda che, per giurisprudenza pacifica, costituisce tentativo di violenza carnale (e non diffamazione aggravata) il fatto di chi - minacciando di inviare ai parenti di una donna foto compromettenti scattate in occasione di incontri amorosi con lei precedentemente avuti - tenti di costringerla ad ulteriori rapporti sessuali, non rilevando l'assenza di qualsivoglia approccio fisico, in quanto con l'effettuazione della minaccia, diretta a costringere la persona offesa alla congiunzione, inizia comunque l'esecuzione materiale del reato.

Con specifico riferimento al reato di atti sessuali con minorenne, si è specificato che nel caso in cui il contatto tra il reo ed il minore avvenga mediante comunicazione a distanza, è necessario accertare, da un lato, l'univoca intenzione dell'agente di soddisfare la propria concupiscenza e, dall'altro, l'oggettiva idoneità della condotta a violare la libertà di autodeterminazione sessuale della vittima; difatti, nella violenza sessuale commessa mediante strumenti telematici di comunicazione a distanza, la mancanza di contatto fisico tra l'autore del reato e la vittima non è determinante ai fini dell'esclusione della fattispecie di reato.

Con specifico riferimento al caso di specie, il Tribunale del riesame ha correttamente evidenziato che la violenza sessuale risultava pienamente integrata, pur in assenza di contatto fisico con la vittima, in quanto gli atti sessuali coinvolgevano la corporeità sessuale della persona offesa ed erano finalizzati e idonei a compromettere il bene primario della libertà individuale nella prospettiva di soddisfare o eccitare il proprio istinto sessuale.

In virtù di tanto, la Cassazione rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

 

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