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Il pugno duro della Cassazione: "Reato abbandonare rifiuti per strada", reclusione fino a 6 mesi o multa fino a 1000 euro.

Recentissima Sentenza che colpisce duramente gli sporcaccioni, dà una mano all´ambiente e aiuta le amministrazioni che non intendano fare "sconti" a nessuno e che adesso potranno non solo procedere ad elevare verbali di contravvenzione ma anche denunciare all´AG gli incivili che non si fanno scrupolo di imbrattare l´ambiente, casa di tutto.
I giudici della Terza Sezione penale della Corte di Cassazione con la sentenza n. 19968 del 27 aprile 2017, hanno infatti stabilito che chi getta i sacchetti della spazzatura nella via pubblica, commette il reato di imbrattamento di cose altrui previsto e punito dall´art. 639 del Codice Penale.

Prima di esaminare il caso concreto vogliamo ricordare che il reato di deturpamento di cose altrui è previsto dall´art. 639 c.p. ed è punito , a querela della persona offesa, con la multa fino a 103 euro. Se però il fatto è commesso su immobili o mezzi pubblici o privati di trasporto si applica la pena della reclusione da uno a sei mesi o della multa da 300 a 1000 euro e si procede d´ufficio.
Se il fatto è commesso su cose di interesse storico o artistico, si applica la pena della reclusione da tre mesi a un anno e della multa da 1.000 a 3.000 euro e si procede parimenti d´ufficio. ovvero possa integrare altre ipotesi di reato.
Nel caso di specie era accaduto che due signore erano state chiamate a rispondere del reato p. e p. dall´art. 674 che punisce il «getto pericoloso di cose», in un luogo di pubblico transito o in un luogo privato ma di comune o di altrui uso, atte a offendere o imbrattare o molestare persone in quanto avevano sparso rifiuti per la via pubblica.
Il giudice di primo grado aveva ritenuto responsabili le due imputate, la sentenza veniva appellata al Tribunale che la confermava con la condanna loro inflitta della multa di euro 200,00 ciascuna.
Avverso tale sentenza veniva proposto ricorso in Cassazione adducendo l´inosservanza o comunque l´erronea applicazione dell´art. 674 c.p. e la mancanza o comunque la manifesta illogicità della motivazione in quanto il giudice di merito non aveva vagliato opportunamente gli elementi di prova emersi durante l´istruttoria dibattimentale.
I giudici della Terza Sezione hanno dichiarato inammissibile il ricorso in quanto lo stesso "è volto a sollecitare non tanto l´esame critico della logica ordinante delle prove, quanto un inammissibile (ri)esame, nel merito, delle prove stesse, così come utilizzate dal Tribunale per affermare la penale responsabilità delle imputate, senza nemmeno eccepirne in modo espresso il travisamento (e senza allegarne i relativi verbali)."
Ricordando a tal proposito che " l´indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione ha un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla Corte di cassazione essere limitato - per espressa volontà del legislatore - a riscontrare l´esistenza di un logico apparato argomentativo sui vari punti della decisione impugnata, senza possibilità di verificare l´adeguatezza delle argomentazioni di cui il giudice di merito si è avvalso per sostanziare il suo convincimento, o la loro rispondenza alle acquisizioni processuali. L´illogicità della motivazione, come vizio denunciabile, deve essere evidente, cioè di spessore tale da risultare percepibile "ictu oculi", dovendo il sindacato di legittimità al riguardo essere limitato a rilievi di macroscopica evidenza, restando ininfluenti le minime incongruenze e considerandosi disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata, purchè siano spiegate in modo logico e adeguato le ragioni del convincimento (Sez. U, n. 24 del 24/11/1999, Spina, Rv. 214794).
 
I giudici della Terza Sezione hanno colto l´occasione invece per fare chiarezza in ordine alla qualificazione del fatto affermando che il caso di specie non poteva farsi inquadrare nell´ ipotesi di reato di cui all´art. 674 così come ha fatto il giudice di merito. Hanno evidenziato infatti che il reato contestato si concretizza allorquando ci sia stato il getto di cose pericolose atte a offendere o imbrattare o molestare persone. Poichè nel caso di specie, la rubrica imputa alle ricorrenti esclusivamente di aver "imbrattato la pubblica via" e non i passanti, l´ipotesi di reato appropriata da configurare e contestare sarebbe dovuta essere quella di cui all´art. 639 c.p.
Infatti la contravvenzione di cui all´art. 674, cod. pen., non è configurabile quando l´offesa, l´imbrattamento o la molestia abbiano ad oggetto esclusivamente cose e non persone (Sez. 3, n. 22032 del 13/04/2010, Chelli, Rv. 247612).
Per tali motivi la Corte ha qualificato il fatto contestato ai sensi dell´art. 639 c.p., dichiarando inammissibili i ricorsi e condannando ciascuna ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Si allega sentenza
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