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Cosa implica la natura negoziale del regolamento Cassa forense per il contributo avvocati in stato di bisogno?

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 Il Regolamento Cassa forense per il trattamento assistenziale degli avvocati in stato di bisogno detta una normativa che non ha valore regolamentare in senso proprio. Esso ha natura squisitamente negoziale, con l'ovvia conseguenza che le relative disposizioni vanno interpretate secondo i canoni di ermeneutica contrattuale di cui agli artt. 1362 c.c. e seguenti (Cass. n. 31000/2019).

Questo è quanto ha ribadito la Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, con ordinanza n. 27541 del 2 dicembre 2020.

Ma vediamo nel dettaglio la questione sottoposta ai Giudici di legittimità.

I fatti di causa

Il ricorrente è un avvocato che ha agito in giudizio per impugnare la sentenza della Corte d'appello, con cui è stata confermata la decisione di rigetto della domanda presentata dal professionista alla Cassa forense, al fine di ottenere il contributo istituito in favore degli iscritti che versano in stato di bisogno. Secondo il ricorrente, il provvedimento emesso dai Giudici di secondo grado è viziato in quanto questi hanno ritenuto di non poter dare un'interpretazione del Regolamento per il trattamento assistenziale degli avvocati in stato di bisogno «più corretta e aderente alla lettera e allo spirito della legge e alla funzione assistenziale e solidaristica» del trattamento in esame. Un'interpretazione, questa, che avrebbe consentito «l'accesso alla prestazione anche a chi, come il ricorrente, superando (anche di poco) la soglia stabilita» dal regolamento stesso per ottenere detto il contributo, versasse comunque in stato di bisogno.

Ad avviso del professionista, inoltre, la Corte d'appello ha omesso l'esame di un fatto decisivo, ossia la circostanza che Cassa forense «ha ecceduto i limiti della potestà regolamentare attribuitale ex lege dando rilievo, ai fini dell'individuazione della soglia di reddito utile a integrare lo stato di bisogno, al reddito lordo».

Così il caso è giunto dinanzi alla Corte di Cassazione.

Ripercorriamo l'iter logico-giuridico seguito da quest'ultima autorità giudiziaria.

La decisione della SC

Innanzitutto, i Giudici di legittimità fanno rilevare che la disciplina relativa sia al rapporto contributivo, che la Cassa forense intrattiene con i suoi iscritti, sia al rapporto previdenziale, che concerne le prestazioni che l'ente in questione è tenuto a corrispondere ai beneficiari, è stata affidata dalla legge, a seguito di delegificazione, all'autonomia regolamentare della Cassa forense. Ne consegue che quest'ultima nel rispetto dei vincoli costituzionali ed entro i limiti delle sue attribuzioni, può dettare delle disposizioni anche derogatorie di legge precedenti (Cass. n. 24202 del 2009, Cass. n. 5287 del 2018). A questo, secondo la Corte di Cassazione, deve aggiungersi il fatto che occorre tener presente che il Regolamento in esame detta una normativa che non ha natura regolamentare in senso proprio e ciò in quanto esso detta una disciplina di natura negoziale. 

Questo sta a significare che essa andrà interpretata secondo i canoni di i ermeneutica contrattuale di cui agli artt. 1362 c.c. e seguenti. Ne consegue che in sede di legittimità, la decisione impugnata, a meno che non sia incorsa in una qualche violazione dei predetti canoni di ermeneutica contrattuale, sarà sotto tale profilo, insindacabile (così, da ult., Cass. n. 31000/2019).

Orbene, tornando al caso di specie, ad avviso dei Giudici di legittimità, la sentenza della Corte d'appello non è viziata in quanto:

  • in forza dei poteri dalla legge attribuiti alla Cassa forense (e a tutti gli enti gestori di forme obbligatorie di previdenza e assistenza, a seguito della loro trasformazione in persone giuridiche private), quest'ultima ben poteva prendere in considerazione il reddito lordo come requisito per l'erogazione del contributo richiesto dal ricorrente, senza imbattersi in alcuna violazione;
  • i magistrati di secondo grado hanno correttamente interpretato la natura negoziale del Regolamento per il trattamento assistenziale degli avvocati in stato di bisogno, senza incorrere in alcuna violazione dei canoni di ermeneutica contrattuale.

Alla luce delle considerazioni sin qui svolte, pertanto, la Corte di Cassazione ha ritenuto infondate le doglianze del ricorrente e, per tal verso, ha respinto l'impugnazione da quest'ultimo proposta. 

 

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