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Coronavirus, lavoratore positivo: come proteggere l’azienda?

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Ai sensi dell'articolo 2087 c.c., l'imprenditore è tenuto ad adottare nell'esercizio dell'impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l'esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l'integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro: si pone a carico del datore di lavoro l'obbligo di adottare tutte le misure necessarie per garantire la salute dei lavoratori, per valutare e successivamente informare i lavoratori di tutti i rischi presenti in azienda e sui loro possibili sviluppi.

Nell'attuale momento storico il rischio più concreto che potrebbe colpire ciascuna azienda è, inevitabilmente, legato al Coronavirus e, in particolare, alla possibilità che un lavoratore dell'azienda possa continuare a prestare la propria opera ignorando di essere un positivo asintomatico.

Per scongiurare una siffatta eventualità, che avrebbe serie ripercussioni sulla sicurezza e salubrità degli altri lavoratori, i sindacati e le associazioni di categoria, su invito del Presidente del Consiglio dei ministri, del Ministro dell'economia, del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, del Ministro dello sviluppo economico e del Ministro della salute, hanno sottoscritto un Protocollo di regolamentazione per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus COVID 19 negli ambienti di lavoro, contenente le linee guida per agevolare i datori di lavoro nell'adozione di protocolli di sicurezza anti-contagio.

La prosecuzione delle attività produttive, infatti, deve avvenire solo in presenza di condizioni che assicurino alle persone che lavorano adeguati livelli di protezione: in primo luogo va garantita la tutela della salute dei lavoratori, anche attraverso l'adozione di misure – dettate dalla logica della precauzione – mai adottate prima.

Tra queste vi rientra, sicuramente, la possibilità per il datore di lavoro di vietare l'ingressi in azienda a chi, negli ultimi 14 giorni, abbia avuto contatti con soggetti risultati positivi al COVID-19 o provenga da zone a rischio secondo le indicazioni dell'OMS. 

Eccezionale è anche la previsione di effettuare dei controlli ai lavoratori prima dell'accesso al luogo di lavoro, al fine di sottoporli al controllo della temperatura corporea. In particolare, nell'intento di regolare le modalità di ingresso in azienda, il Protocollo prevede che, se a seguito del controllo della temperatura corporea, il lavoratore abbia delle linee di febbre (temperatura superiore ai 37,5°), non gli sarà consentito l'accesso ai luoghi di lavoro e, dopo essere stato dotato di mascherina, sarà momentaneamente isolato, con l'obbligo di contattare nel più breve tempo possibile il proprio medico curante e seguire le sue indicazioni.

La rilevazione in tempo reale della temperatura corporea, costituendo un trattamento di dati personali, deve avvenire ai sensi della disciplina privacy vigente: ne deriva, quindi, che il dato acquisito non deve essere registrato; è consentito – previa l'informativa sul trattamento dei dati personali - identificare l'interessato e registrare il superamento della soglia di temperatura solo qualora sia necessario per documentare le ragioni che hanno impedito l'accesso ai locali aziendali; i dati possono essere trattati esclusivamente per finalità di prevenzione dal contagio da COVID-19 e non devono essere diffusi o comunicati a terzi al di fuori delle specifiche previsioni normative (es. in caso di richiesta da parte dell'Autorità sanitaria per la ricostruzione della filiera degli eventuali "contatti stretti di un lavoratore risultato positivo al COVID-19).

È necessario assicurare modalità tali da garantire la riservatezza e la dignità del lavoratore anche nel caso in cui quest'ultimo comunichi all'ufficio responsabile del personale di aver avuto, al di fuori del contesto aziendale, contatti con soggetti risultati positivi al COVID-19 e nel caso di allontanamento del lavoratore che durante l'attività lavorativa sviluppi febbre e sintomi di infezione respiratoria e dei suoi colleghi. 

 Nella specifica ipotesi in cui una persona presente in azienda contragga il virus, la pulizia e sanificazione dei locali dovrà essere effettuata secondo le disposizioni della circolare n. 5443 del 22 febbraio 2020 del Ministero della Salute, garantendo sempre adeguata ventilazione degli ambienti.

Si dovrà procedere, inoltre, all'isolamento delle persone presenti nei locali, informando immediatamente le autorità sanitarie competenti e i numeri di emergenza forniti dalla Regione o dal Ministero della Salute. Per consentire di applicare le misure di quarantena necessarie, l'impresa dovrà collaborare con le autorità sanitarie per la definizione degli eventuali "contatti stretti" del lavoratore presente in azienda risultato positivo al tampone Covid-19.

Ai sensi dell'articolo 26, comma 1, del decreto Cura Italia, il lavoratore che sia a casa, perché risultato positivo al tampone o perché obbligato alla quarantena (ovvero al periodo trascorso in isolamento con sorveglianza attiva o in permanenza domiciliare fiduciaria), è in stato di malattia e i giorni trascorsi a casa non si calcolano ai fini del superamento del periodo di comporto.

Da ultimo, va ricordato che durante il periodo emergenziale, la sorveglianza sanitaria non va interrotta, perché rappresenta una ulteriore misura di prevenzione di carattere generale: sia perché può intercettare possibili casi e sintomi sospetti del contagio, sia per l'informazione e la formazione che il medico competente può fornire ai lavoratori per evitare la diffusione del contagio. La sorveglianza deve quindi proseguire rispettando le misure igieniche contenute nelle indicazioni del Ministero della Salute.

 

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