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L'ombra della Colpa - Io, avvocato costretto a colmare i buchi che i clienti aprono nel mio conto

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 Me ne vado a casa mezzo incazzato. Continua a fare un caldo pazzesco. Quando esco dallo studio e sono quasi le otto di sera il termometro sopra il supermercato segna 37 gradi. Follia metropolitana. Poi uno dice che la Giannini è pazza. Con questo caldo che rende liquido anche l'asfalto, sto lambendo la follia pure io. Ho già in mente la mia serata. Tanto per non pensare troppo alla mia situazione attuale. Sto difendendo un giudice che credevo il migliore dei mondi possibili da un'accusa di violenza sessuale in danno del nipotino prediletto. Mi hanno indagato per favoreggiamento a quasi cinquant'anni. Ho una cliente pazza che mi perseguita al telefono e che prima o poi finirà per ammazzare il marito inerme. Sembra di essere ai tropici, e devo continuare a lavorare per pagare tutti i buchi che i miei clienti – generosi figli di buona donna sempre senza soldi per pagare l'avvocato – aprono all'interno del mio conto in banca. Se Dario Argento l'avesse visto, il conto intendo, sono sicuro che Profondo Rosso sarebbe venuto pure meglio, se non altro con una maggiore punta di realismo e crudeltà. In più, come se non bastasse, sono diventato pure geloso della mia praticante storica, ormai avvocatessa con gonne mozzafiato e gambe da antilope in mezzo ad una savana dove ho paura che prima o poi salterà fuori un cacciatore bianco capace di catturarla con un colpo solo. Ma vaffanculo. Breve la vita di Mario Squinzati, per parafrasare Hemingway. Ma io non voglio fare la fine di Francis Macomber, umiliato da una dimostrazione di vigliaccheria che lo annichilisce rubandogli la cosa più importante per un uomo: il rispetto della donna amata.

Arrivo a casa e trovo ancora Ottavio in assetto di combattimento. Appeno apro la porta non mi dice neanche buonasera. Mi informa di avere già sprimacciato il letto, chè non dormo abbastanza, sul tavolo la cena è già pronta avendo lui calcolato il mio orario di arrivo, tanto lo so che lavori fino a tardi. Ha preparato il cus cus di pesce e verdure. Bottiglia di vino bianco frizzante in frigo. Mi dice di non uscire domani mattina se non dopo la mia vicina, quella che gira per strada con il carrello.

- Perché ?

- Perché porta sfiga, te l'ho già detto Mario.

 E se ne va, con tutto il suo gruppuscolo di credenze animiste alla Cristo si è fermato ad Eboli. E guai a contraddirlo. Il cus cus è imperiale, delizioso mentre si sfarina in bocca nella sua intima croccantezza. Il pesce credo continuerà a saltarmi nello stomaco tanto è fresco. Ottavio l'avrà pescato di persona ? Finita la cena magnifica ma in solitaria – come una traversata oceanica, mai mi è sembrata così lunga – mi ritrovo a fissare il telefonino. So io cosa vorrei fare. Quella telefonata mi guardo bene dal farla. Vado in sala e inserisco Guerre stellari nel videolettore in blue ray. Anche questo e' un ricordo di mio padre. Me lo comprò chè stavo ancora in casa, quando un giorno mi vide triste. Mi disse la mia mamma che lo aveva acquistato per tirarmi su di morale in un momento di crisi amorosa azzannante. Tanto per cambiare. Ogni volta che accendo quel dispositivo, mio padre mi accarezza e vedo il suo volto. Vivo dentro il suo ricordo. Non ho ancora imparato a lasciarlo andare via. Non imparerò mai. Sono uomo a metà, e l'altra metà ce l'ha il mare. Non mi rendo conto che dopo circa dieci minuti di visione in notturna me ne vado via, lontano, verso un sonno cupo come un temporale di montagna. Kafka diceva sempre che il sonno è la cosa più pura al mondo e che nessuno al mondo è tanto colpevole come l'uomo insonne, anche soltanto per una sola notte, perchè spreca qualcosa di pulito, come l'ambra trasparente. Il mio sonno non registra lampi o saette.

Sono sicuro che il mio papà non li ha fatti entrare.

Dormo filato, come da piccolo. Sento la sveglia ma mi giro dall'altra parte. Ogni tanto mi capita. Quando proprio non ce la faccio più e tutto il carico nervoso di giornate senza amore mi frana addosso come cemento a presa instantanea. Guardo l'orologio. E' tardissimo. Consumo una colazione di quelle sprint, in piedi, in cucina. Mi infilo sotto la doccia lavandomi i denti. Barba con un taglio sottile che mi fa sanguinare la pelle ,sutura veloce e chirurgica con mano abile ma frettolosa, camicia fresca di bucato e cravatta nuova. Non riesco a trovare la mia cintura nera, ma non da karate. Chiamo Ottavio al telefono. Dieci squilli e scatta il messaggio Poste Mobile. Maledetto. L'unico suo difetto è il rapporto di incomunicabilità dichiarata con il telefonino. Sarebbe meglio fornirgli l'indirizzo di una cabina telefonica a cui rispondere. Ottavio sostiene che sia colpa del cellulare, perché si spegne da solo, dice. Secondo il suo parere non è un oggetto inanimato ma è vivo come me e lui. Ho il sospetto che il mio tutore domestico appartenga a una setta di animisti. Crede che ogni oggetto, come le creature, posseggano un'anima celata alla vista dei più. Non trovo la cintura e devo cambiarmi le scarpe al volo per averle in tinta con quella su cui riesco a mettere le mani. Esco bestemmiando. Alle dieci ho un appuntamento con un cliente di Varese, uno facoltoso, da quanto mi ha detto la mia amica Giovanna, segretaria di uno studio medico che qualche volta mi manda dei clienti. Costui potrebbe insufflare un poco di ossigeno nelle mie finanze arrossate e sull'orlo dell'abisso. Anche il mio conto corrente è vivo, come il cellulare di Ottavio, e lotta con noi gridando. Arrivo in studio cinque minuti prima del cliente. Il tempo di vedere Agata china sulla scrivania, con la faccia aggrottata. Non le chiedo cos'abbia perché sono ancora segretamente arrabbiato con lei anche se non so il perchè. Le passo davanti bofonchiando un saluto strozzato. Incassa e china la testa ancora di più, come per far vedere che non gliene importa. Va bene così, penso. I clienti arrivano puntuali. Me li fa entrare la mia valchiria che mi ritrovo a fissare mentre chiude la porta. Registro dentro le mie retine inconsapevoli ma ricettive come antenne i seni grossi,mai notati prima d'ora, ben in rilievo sotto la camicia sottile di piquet bianco. A questo sono ridotto. I due varesotti sono marito e moglie. Lui brillante, lei un poco più dimessa, ma gentile. Mi mostrano le fotografie di una barca conciata ai minimi termini da un meccanico poco abile, a quanto pare, ed anche assai maldestro. Si tratta di una causa di semplice responsabilità contrattuale ed extra. Li informo sulla durata della procedura e domando se il meccanico incauto possegga qualcosa al sole. Tanto per non ottenere una sentenza ineseguibile perché il tizio possa poi rivelarsiinsolvibile. Lo faccio sempre presente ai clienti. E' fondamentale assicurarsi che la controparte risulti proprietaria di qualcosa, in modo da non buttare via i soldi di un'azione legale. Quando le persone vengono da noi, siamo costretti ad issare la bandiera ed a farli salire all'interno di un vascello che prende il largo appena firmano il mandato. Resta un dovere ineludibile avvertirli e far loro capire che i tempi saranno in media lunghi. Come stare in mare con le vele armate aspettando un refolo di vento. Bisogna saperlo fare. E' necessario aspettare ma è doveroso dirlo prima. Sempre. Gli rivolgo tutti gli ammonimenti del caso. Mi assicurano che il meccanico da azzannare possiede beni, case, ed un'altra officina dove pare si sia trasferito nel frattempo. Il tutto dopo circa un'ora di colloquio in cui il varesotto ingannato mi indica quanto abbia già pagato al meccanico inadempiente stilando anche un conto minuzioso dei giorni di barca sacrificati per colpa dell'artigiano scorretto.

- Poi, sa avvocato, in questo porto abbiamo trovato delle realtà allucinanti. Solo qui capitano queste cose. Da noi è tutto diverso.

- Ma scusi, non poteva muoversi prima ?

Gli chiedo timidamente. 

 - I fatti risalgono a due anni prima e voi venite soltanto adesso, per di più sborsando un sacco di soldi.

- Cosa vuole, ci fidavamo. Ci aveva già fatto degli altri lavoretti. Poi sa, non vorrei sentirmi dire come succede qui, dalle sue parti, che io non pago e per questo non mi consegna la barca pronta. Solo qui accadono queste cose.

Il fatto di continuare a dire che la mia città sembri un luogo in cui si verificano fatti e misfatti ignoti alla metropoli pedemontana comincia a darmi sui nervi. Qualcosa inizia a ronzare in sordina dentro la mia testa. Quando i clienti martellano un punto in continuazione, c'è sempre la fregatura dietro l'angolo. Solo che è buio o noi avvocati siamo ciechi e lo vediamo all'ultimo, nonostante l'esperienza. Tiro dritto e gli presento il preventivo, del tutto calibrato in relazione alla natura della causa ma appena pronuncio la fatidica cifra il lui emette un sonoro minchia ! di sconforto misto a stupore. Il sorriso a denti bianchissimi di colpo si smorza. Abbassa lo sguardo e poi dice che con i soldi richiesti - uniti a quelli già spesi – ci compra una Porsche.

La moglie afferma che ci devono pensare e che mi daranno una risposta.

- Anche per rispetto del suo lavoro, biascica il brillante coniuge che nel frattempo si è ammutolito spegnendosi come un vulcano su cui abbiano gettato litri d'acqua.

Resta in silenzio come se l'avesse morso un serpente.

- Guardi, per il mio lavoro, non c'è problema, perché pagherete il colloquio alla mia collega. Sistemo così i due rompicoglioni che pensano di intentare una causa a gratis contro un meccanico pagato profumatamente per distruggergli la barca. Mi sono stufato di ricevere la gente in piena estate che poi ti ringrazia ed esce spedita dallo studio senza mettere mani al portafoglio. Le persone vengono da noi per ottenere del denaro aggiustando un torto che gli è stato arrecato. Pensano di poterlo fare senza spese in più, come se fossimo semplici intermediari di passaggio, lucide rotelle di un meccanismo che prevede un semplice transito in mezzo, da attraversare accompagnati. E' una concezione mercantile della nostra professione e deficitaria, perciò è ora di piantarla. Non sono nella disposizione d'animo giusta per sopportarlo. Mi brucia il fatto di non aver saputo riconoscere due perditempo per cui mi ero pure illuso di lenire le mie finanze in rosso pompeiano. Il brillante se ne va a capo chino quando gli comunico l'obbligo di pagarmi il colloquio. Dopo cinque minuti entra Agata e mi porge un assegno.

- Dice che dalle sue parti funziona tutto in modo diverso.

- E come ? Le rispondo incuriosito.

- Quando gliel'ho chiesto, ha scosso la testa ma non ha risposto.

Il mondo è bello perché i clienti sono tutti uguali.

- Ah, Agata ?

- Si ? flauta lei.

- Buongiorno.

Se ne va via con un sorriso che allaga tutta la stanza. E anche la mia anima su cui isso subito le vele.

Con una luce così posso affrontare un mare forza 10.

 

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