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Consulta: dichiarata infondata questione l.c. art. 17, c. 1, lett. b), d.l. n. 133 del 2014 su perequazione urbanistica

Non è fondata, con riferimento agli artt. 3, comma 1, 117, comma 3, e 118, commi 1 e 2, Cost., la questione di legittimità costituzionale dell’art. 17, comma 1, lett. b), d.l. 12 settembre 2014, n. 133 convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, l. 11 novembre 2014 n. 164 - introduttiva dell’art. 3 bis, t.u. 6 giugno 2001, n. 380 - il quale, dopo aver previsto che «lo strumento urbanistico individua gli edifici esistenti non più compatibili con gli indirizzi della pianificazione», ha stabilito che «nelle more dell’attuazione del piano, resta salva la facoltà del proprietario di eseguire tutti gli interventi conservativi, ad eccezione della demolizione e successiva ricostruzione non giustificata da obiettive ed improrogabili ragioni di ordine statico od igienico sanitario», trattandosi in buona sostanza, di un meccanismo riconducibile al sistema della c.d. “perequazione urbanistica”, inteso a combinare, in contesti procedimentali di “urbanistica contrattata”, il mancato onere per l’amministrazione comunale, connesso allo svolgersi di procedure ablatorie, con la corrispondente incentivazione al recupero, eventualmente anche migliorativo, da parte dei proprietari, del patrimonio immobiliare esistente: il tutto in linea con l’esplicito intento legislativo di promuovere la ripresa del settore edilizio senza, tra l’altro, aumentare, e anzi riducendo, il «consumo di suolo».
Lo ha stabilito la Consulta con Sentenza n. 67 depositata il 5 aprile 2016.
Con la decisione in epigrafe la Consulta ha respinto le questioni sollevate dalla Regione Puglia avverso la disciplina che il d.l. n. 133 del 2014 (c.d. sblocca Italia) ha introdotto in tema di perequazione urbanistica
In particolare, il nuovo art. 3 bis, del 6 giugno 2001, n. 380 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia – Testo A), dopo aver previsto che «Lo strumento urbanistico individua gli edifici esistenti non più compatibili con gli indirizzi della pianificazione», ha stabilito che «Nelle more dell’attuazione del piano, resta salva la facoltà del proprietario di eseguire tutti gli interventi conservativi, ad eccezione della demolizione e successiva ricostruzione non giustificata da obiettive ed improrogabili ragioni di ordine statico od igienico sanitario».
Secondo la Corte, il nuovo meccanismo è riconducibile al sistema della cosiddetta “perequazione urbanistica”, inteso a combinare, in contesti procedimentali di “urbanistica contrattata”, il mancato onere per l’amministrazione comunale, connesso allo svolgersi di procedure ablatorie, con la corrispondente incentivazione al recupero, eventualmente anche migliorativo, da parte dei proprietari, del patrimonio immobiliare esistente. Tale fine viene qualificato come coerente con l’obiettivo di promuovere la ripresa del settore edilizio in conformità al principio della riduzione del «consumo di suolo».
Tale disciplina rientra quindi nel quadro dei «principi fondamentali» di settore, facenti capo alla legislazione statale nella materia del governo del territorio. In particolare, il legislatore statale si è così proposto di evitare che, relativamente alle attività di risanamento urbanistico su tutto il territorio della Repubblica, possano determinarsi disparità di disciplina che vanifichino gli scopi perseguiti dallo Stato nell´interesse dell’intera comunità nazionale, si propone anche di evitare che l’eventuale inerzia delle amministrazioni locali, relativamente alla attuazione di «interventi di conservazione» del patrimonio edilizio esistente, impedisca comunque agli stessi proprietari degli immobili di esercitare – entro i previsti limiti e, comunque, nell’osservanza dei diversi obblighi “pubblicistici” – scelte o facoltà direttamente connesse al proprio diritto dominicale.
In termini formali, appare infine di interesse generale anche l’ultima indicazione che si trae dalla pronuncia, riassunta nella seconda massima di cui in epigrafe: nel sistema della legislazione concorrente, una disciplina statale “di principio” può non essere accompagnata dal rinvio a legislazione regionale di attuazione.
Fonte: Giustizia Amministrativa

 

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