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Con l'ordinanza n. 9887 dello scorso 26 maggio, la III sezione civile della Corte di Cassazione, pronunciandosi in tema di consenso informato, ha rigettato una domanda risarcitoria presentata da un paziente per l'asserita lesione del diritto all'autodeterminazione, posto che il danneggiato non aveva allegato alcunché che dimostrasse la scelta che avrebbe effettuato se correttamente informato.
Si è difatti specificato che "l' allegazione dei fatti dimostrativi della opzione "a monte" che il paziente avrebbe esercitato se correttamente informato viene, quindi, a costituire elemento integrante dell'onere della prova del nesso eziologico tra l'inadempimento e l'evento dannoso, che, in applicazione dell'ordinario criterio di riparto ex art. 2697 c.c., comma 1, compete ai danneggiati".
I chiarimenti operati dalla Cassazione prendono spunto dalla richiesta di risarcimento danni avanzata da un paziente, affetta da "pseudoartrosi post traumatica dello scafoide con impotenza funzionale del polso destro su base algica", avverso la clinica e il sanitario che l'avevano convinto ad operarsi, prospettando un intervento che avrebbe garantito un possibile miglioramento dell'articolazione e della sintomatologia dolorosa, con il rischio - accettato dal paziente - della perdita del 30% di funzionalità dell'articolazione del polso.
Sebbene l'intervento chirurgico fosse stato eseguito correttamente senza errori tecnici ed il trattamento post-operatorio fosse stato conforme ai protocolli, cionondimeno era seguita, accanto ad una riduzione della algia, anche una perdita complessiva della funzionalità del polso di circa il 68-70%.
A seguito di tanto, il danneggiato adiva il giudice, lamentando la inesattezza della informazione sui rischi ed eccependo l'invalido consenso prestato quale presupposto della richiesta risarcitoria.
Per tali fatti, sia il Tribunale di Milano che la Corte d'Appello di Milano ritenevano infondata la pretesa risarcitoria avanzata nei confronti della clinica e del medico.
Ricorrendo in Cassazione, il paziente si doleva della circostanza per cui il Giudice territoriale aveva negato rilevanza all'errore commesso dal medico nel dare una informazione eccessivamente ottimistica e, a tal proposito, evidenziava come siffatta erronea informazione ottimistica aveva leso il suo diritto alla autodeterminazione.
La Cassazione non condivide le censure rilevate.
La Corte ricorda che le conseguenze dannose che derivino, secondo un nesso di regolarità causale, dalla lesione del diritto all'autodeterminazione, verificatasi in seguito ad un atto terapeutico eseguito senza un consenso legittimamente prestato, devono essere debitamente allegate dal paziente, sul quale grava l'onere di provare il fatto positivo del rifiuto che egli avrebbe opposto al medico, tenuto conto che il presupposto della domanda risarcitoria è costituito dalla sua scelta soggettiva (criterio della cd. vicinanza della prova); al riguardo la prova può essere fornita con ogni mezzo, ivi compresi il notorio, le massime di esperienza e le presunzioni, non essendo configurabile un danno risarcibile "in re ipsa" derivante esclusivamente dall'omessa informazione.
L'allegazione dei fatti dimostrativi della opzione "a monte" che il paziente avrebbe esercitato se correttamente informato viene, quindi, a costituire elemento integrante dell'onere della prova del nesso eziologico tra l'inadempimento e l'evento dannoso, che, in applicazione dell'ordinario criterio di riparto ex art. 2697 c.c., comma 1, compete ai danneggiati.
Con specifico riferimento al caso di specie, gli Ermellini specificano come la Corte territoriale abbia correttamente definito il thema controversum, individuandolo nell'errore, prospettato dall'appellante, commesso dal medico nella determinazione della percentuale di rischio di insuccesso; la sentenza impugnata - con accertamento in fatto incensurabile nel giudizio di legittimità - ha escluso il paventato errore, ritenendo che la rappresentazione di un possibile peggioramento della mobilità del 30% era da considerarsi adeguata e non imprudentemente sottostimata.
Ad ogni modo, indipendentemente da eventuali ulteriori profili di incompletezza dell'informazione, nondimeno la domanda risarcitoria non può trovare accoglimento in quanto non viene allegato dal ricorrente quali prove fossero state raccolte nei precedenti gradi di giudizio dirette ad accertare - mediante giudizio controfattuale "ora per allora" - che egli, qualora avesse inteso che il rischio di insuccesso avrebbe potuto produrre una ulteriore limitazione di mobilità, avrebbe sicuramente rifiutato di sottoporsi all'intervento di emicarpectomia prossimale.
In conclusione, la Cassazione rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità.
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