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Mancata resa dipendente, SC: non licenziabile per giustificato motivo oggettivo

Sulla questione, da sempre controversa, si è recentemente espressa la Corte di Cassazione, IV Sezione Lavoro, con sentenza 15 giugno - 22 novembre 2016, n. 23735, che ha enunciato principi di assoluta importanza.
La questione
Nel caso culminato nella pronuncia della Sezione, un dipendente, altamente qualificato, era stato licenziato dal datore di lavoro per non essersi adeguato a determinate istruzioni tecniche dallo stesso impartite, ossia in virtù di "una pressoché totale assenza di sinallagmaticità, fra le obbligazioni a noi facenti capo nei di Lei confronti, ed il contenuto della Sua prestazione, che non possiamo non riconnettere ad una - per quanto... sollecitata - mancanza di adeguamento alle esigenze, che la evoluzione del mercato, invece, comporta".
Si riporta testualmente la motivazione dell´atto solutorio per rendere evidente la natura della questione rimessa all´esame del giudice, a seguito del ricorso del dipendente licenziato, intuitivamente ruotante attorno alla natura di tale licenziamento, che, alla fine, era stato identificato dai Giudici territoriali come licenziamento da "giustificato motivo oggettivo".
Tale identificazione del licenziamento, comunque non ritenuto nullo, ma atto all´ottenimento di un risarcimento, posta in essere dai Giudici d´Appello, non è stata però condivisa dal dipendente, e da qui il suo ricorso in Cassazione.
La Sentenza della Corte di Cassazione
I Giudici Supremi hanno ritenuto tale licenziamento legato strettamente alla sfera volitiva del dipendente, che, pur essendo stato invitato ad adeguarsi alle esigenze aziendali si è rifiutato di farlo.
In realtà, la società lo aveva licenziato ritenendo sussistente un giustificato motivo oggettivo di licenziamento; il fatto che tale giustificato motivo oggettivo non sussista - ha affermato la Sezione - non rende il licenziamento medesimo di per sé nullo ma solo ingiustificato, per cui non è ravvisabile né la contrarietà a norme imperative né la frode alla legge.
Come correttamente ritenuto dal giudice della fase sommaria, ha proseguito il Collegio, la società aveva inteso qualificare come sorretto da giustificato motivo oggettivo "un licenziamento che attiene alla condotta del lavoratore e che, come tale, costituisce ontologicamente un giustificato motivo soggettivo".
In altri termini, la Corte territoriale ha ritenuto configurabile un giustificato motivo oggettivo di licenziamento e lo ha poi dichiarato illegittimo per violazione dell´obbligo di repechage; quindi, sotto il profilo della tutela applicabile, contrariamente ai giudici di primo grado, ha considerato inapplicabile la reintegrazione nel posto di lavoro escludendo nel caso concreto la manifesta insussistenza del fatto oggettivo posto a base della risoluzione.
Conclusioni giustificate, secondo la Corte di Appello, da talune pronunce di legittimità alla cui stregua "l´impossibilità sopravvenuta di resa di una utile prestazione, da parte del lavoratore, è stata in effetti posta a base del recesso aziendale, ricondotto alla fattispecie del giustificato motivo oggettivo ex art. 3 L. 604/66". Un assunto che riflette quell´orientamento secondo cui un fatto imputabile al comportamento del lavoratore nell´attuazione del rapporto contrattuale, segnatamente lo scarso rendimento, sarebbe suscettibile di essere qualificato al tempo stesso sia come giustificato motivo oggettivo sia come notevole inadempimento.
Occorre tuttavia tenere ben definito il confine tra le due ipotesi rispetto alle fattispecie concrete, non essendo consentito, in virtù di un mero atto di auto-qualificazione del datore, invadere l´area del giustificato motivo oggettivo con casi che, pur appartenendo naturalmente all´area della giusta causa o del giustificato motivo soggettivo, non abbiano valenza risolutoria sotto questo aspetto.
In definitiva, ha affermato la Cassazione, occorre tenere distinte le ipotesi in cui ci si dolga della condotta del lavoratore cui si addebitano forme di inadempimento rispetto alla prestazione attesa dal datore, comunque ascrivibili alla sfera volitiva del dipendente, dando luogo al licenziamento cd. ontologicamente disciplinare, dai casi riferibili alle ragioni organizzative dell´impresa, che possono anche ravvisarsi in condizioni attinenti alla persona del lavoratore quali la sopravvenuta inidoneità per infermità fisica, la carcerazione, il ritiro della patente o la sospensione delle autorizzazioni amministrative, la mancanza del titolo professionale abilitante, ma sempre circostanze oggettive idonee a determinare la perdita di interesse del datore di lavoro alla prestazione ed estranee alla sfera volitiva del soggetto, tali da non poter configurare, nella sostanza, un inadempimento comunque imputabile.
In particolare la sussunzione della fattispecie concreta nell´una piuttosto che nell´altra ipotesi normativa non può essere rimessa alla libera scelta del datore di lavoro, in virtù di un mero atto di qualificazione del recesso.
Pertanto, la sentenza impugnata è stata cassata onde consentire al giudice del rinvio un nuovo esame in conformità a quanto statuito, anche dal punto di vista delle conseguenze sanzionatorie dell´impugnato licenziamento.
Sentenza allegata





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