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Conferimenti in denaro all’altro coniuge, liberalità solo prima della separazione

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Con la sentenza n. 24160 dello scorso 4 ottobre, la III sezione civile della Corte di Cassazione, pronunciandosi sulla natura dei conferimenti in denaro effettuati da un marito per comprare e ristrutturare un immobile da intestare anche alla moglie, ha statuito che "l'attività con la quale il marito ha fornito il denaro affinché la moglie divenisse con lui comproprietaria degli immobili rientra nell'ambito della donazione indiretta in quanto esprimente una finalità di liberalità la finalità di liberalità in favore del coniuge non può automaticamente attribuirsi anche ai pagamenti fatti o alle spese sostenute per l'immobile in comproprietà dopo la separazione".

Dopo il giudizio per separazione, una donna adiva in giudizio il marito per sentirsi riconoscere il diritto alla riscossione del 50% dei canoni di locazione di due appartamenti cointestati ad entrambi i coniugi; in via riconvenzionale l'uomo deduceva che quegli appartamenti fossero di sua esclusiva proprietà – in quanto acquistati con denaro esclusivamente suo durante il matrimonio, in regime di separazione dei beni, e solo fiduciariamente cointestati alla moglie in un momento in cui i rapporti coniugali erano ancora positivi – e chiedeva quindi che la donna fosse condannata a restituire i canoni eventualmente percepiti e la metà delle spese sostenute per la finitura degli immobili acquistati al grezzo.

La domanda della donna, accolta in primo grado, veniva rigettata in seconda istanza, allorquando la Corte d'Appello di Perugia – essendo passata in giudicato la parte della sentenza che accertava la comproprietà dell'immobile – affermava che la donna, quale comproprietaria, era tenuta, ex art. 1110 c.c., a corrispondere al marito la metà degli importi da questi spesi per la riqualificazione degli immobili, escludendo che tali somme fossero state erogate in adempimento di una obbligazione naturale o quali liberalità d'uso. 

Avverso tale sentenza, la moglie proponeva ricorso per Cassazione, esponendo la sua costruzione giuridica, in base alla quale il marito le aveva intestato gli immobile in virtù di una donazione indiretta, non soggetta all'onere formale dell'atto pubblico, e che la stessa fosse avvenuta in adempimento di una obbligazione naturale, nell'ambito del rapporto coniugale: in virtù di tanto, non solo la cointestazione del bene era destinata a rimanere ferma dopa la separazione, ma anche le spese effettuate dal marito per l'acquisto e poi la finitura dell'immobile dovevano considerarsi irripetibili in quanto animati da una finalità donativa, diversamente da quanto statuito dalla corte d'appello che, invece, aveva applicato l'art. 1110 c.c. relativo al rimborso di quanto speso dal comproprietario per la manutenzione della cosa comune.

La Cassazione condivide in parte la ricostruzione prospettata dalla ricorrente.

Essendo pienamente emerso, e non contestato nel corso del giudizio, che la moglie non aveva mai versato alcun contributo per l'acquisto degli immobili, la Cassazione ha statuito che l'intestazione degli immobili era avvenuta con scopo liberale e, più nel dettaglio, con una donazione indiretta, trattandosi di un conferimento in denaro effettuato da un coniuge per far acquistare la titolarità di un immobile all'altro coniuge: "implicitamente la sentenza impugnata ha accertato l'esistenza dell'animus donandi, consistente nell'accertamento che il proprietario del denaro non aveva, nel momento della detta cointestazione, altro scopo che quello della liberalità (Cass. n. 4682 del 2018), collocando l'attività con la quale il marito ha fornito il denaro affinché la moglie divenisse con lui comproprietaria degli immobili nell'ambito della donazione indiretta in quanto esprimente una finalità di liberalità".

Ciò chiarito, va accertato se il marito, coniuge comproprietario che ha sostenuto per intero le spese di finitura o relative a migliorie all'interno dell'immobile cointestato, possa ripetere dall'ex moglie la metà di quanto ha pagato ed a quali condizioni: sul punto, la soluzione data dalla Corte d'appello – secondo la quale non potrebbe parlarsi, in siffatta situazione, di liberalità d'uso né di obbligazione naturale soggetta al principio dell'irripetibilità della prestazione – non convince gli Ermellini che, invece, evidenziano come "le considerazioni sopra svolte circa il fine di liberalità e la riconducibilità alla donazione indiretta dell'attività svolta da un coniuge per far acquistare all'altro la proprietà di un immobile, valgono a fortiori in riferimento ai conferimenti patrimoniali eseguiti spontaneamente dal coniuge in costanza di matrimonio e volti a finanziare lavori nell'immobile che ha fatto acquistare in proprietà esclusiva dell'altro coniuge o in regime di comproprietà".

Ne discende, quindi, che – essendo stati tutti i conferimenti eseguiti spontaneamente in costanza del matrimonio in virtù di uno spirito liberale – gli stessi non sono più ripetibili, in quanto animati dalla causa liberale.

La Cassazione, tuttavia, precisa che siffatta irrepetibilità non ha portata illimitata, in quanto la finalità di liberalità in favore del coniuge non può automaticamente attribuirsi anche ai pagamenti fatti o alle spese sostenute per l'immobile in comproprietà dopo la separazione: eventuali conferimenti e spese successivi alla separazione, non sussistendo la finalità di liberalità, dovranno essere considerati alla stregua di spese sostenute da uno dei comproprietari in favore dei beni in comunione, facendo applicazione delle regole ordinarie applicabili in materia di comunione ordinaria.

Più nel dettaglio, l'art. 1110 c.c. consente eccezionalmente la ripetibilità delle spese sostenute dal singolo partecipante alla comunione, in caso di trascuranza degli altri, limitatamente alle spese necessarie per la conservazione della cosa e al mantenimento della sua integrità, sempre che sia stato preliminarmente avvisato l'altro comproprietario rimasto poi inerte (Cass. 353 del 2013).

In conclusione la Cassazione accoglie solo in parte il ricorso, devolvendo al giudice del merito l'accertamento su quali siano stati i pagamenti effettuati e le spese sostenute in costanza di matrimonio e prima della separazione; in relazione alle spese sostenute dopo la separazione, il giudice di merito dovrà valutare, applicando le regole generali valevoli per la comunione dei beni, se la moglie può essere condannata a restituire al marito il 50% dell'importo speso. 

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