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Condotte riparatorie fino all’apertura del dibattimento anche davanti al GdP.

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Pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale del 27 marzo 2024, la sentenza n. 45/24 con la quale la Corte Costituzionale ha dichiarato l'illegittimità dell'art. 35, comma 1, del d.lgs. n. 274 del 2000, nella parte in cui stabilisce che, al fine dell'estinzione del reato, le condotte riparatorie debbano essere realizzate "prima dell'udienza di comparizione", anziché "prima della dichiarazione di apertura del dibattimento".

Nel dettaglio, la disposizione vagliata dalla Consulta (l'art. 35 del d.lgs. n. 274 del 2000) stabilisce, al comma 1, che il giudice di pace, sentite le parti e l'eventuale persona offesa, dichiara con sentenza estinto il reato, enunciandone la causa nel dispositivo, quando l'imputato dimostra di aver proceduto, prima dell'udienza di comparizione, alla riparazione del danno cagionato dal reato, mediante le restituzioni o il risarcimento, e di aver eliminato le conseguenze dannose o pericolose del reato. 

Secondo il giudice che ha sollevato la questione di legittimità costituzionale, la disposizione in oggetto, nello stabilire che l'imputato debba dimostrare di aver proceduto alla condotta riparatoria prima dell'udienza di comparizione, avrebbe determinato una disparità di trattamento tra colui che deve essere giudicato per la commissione di un reato rientrante nella competenza del giudice di pace e l'imputato che provveda alla riparazione del danno cagionato per effetto di un reato attribuito alla competenza del tribunale e rispetto al quale trova applicazione l'analogo istituto di cui all'art. 162-ter cod. pen., istituto che, invece, consente di accedere alla dichiarazione di estinzione del reato, se l'imputato abbia interamente riparato il danno entro il termine massimo della dichiarazione di apertura del dibattimento.

Fulcro della declaratoria di illegittimità, l'incoerenza del termine finale, previsto dalla disposizione censurata, con la funzione spiccatamente conciliativa del giudice di pace e del procedimento da esso governato, caratterizzato da un approccio volutamente duttile ed orientato alla ricerca di risposte al reato alternative alla pena. 

Si legge, infatti,  nella sentenza che "il ruolo del giudice di pace come conciliatore, il cui luogo di fisiologica esplicazione è proprio l'udienza di comparizione, risulta impedito da un termine perentorio che, previsto prima di tale udienza, frustra la stessa funzione del giudice non consentendogli di avviare le parti, imputato e persona offesa, ad un accordo sull'entità della riparazione del danno e delle restituzioni e sulle modalità di eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose del reato.

La preclusione, che discende dalla rigida applicazione del termine recato dalla disposizione censurata, prosegue il provvedimento, costituisce un fattore di irragionevolezza in una sequenza procedimentale che dovrebbe, invece, favorire, proprio nell'udienza di comparizione, ove avviene il primo contatto tra le parti e il giudice, la conciliazione, della quale la condotta riparatoria rappresenta una modalità di attuazione. 

Peraltro, secondo la Corte Costituzionale, lo sbarramento temporale censurato finisce, altresì, per determinare ricadute negative sul carico giudiziario, riducendo i casi di definizione anticipata del processo. 

Dunque, poiché l'attività conciliativa e di mediazione del giudice di pace è irragionevolmente pregiudicata dalla previsione di un termine perentorio scaduto prima dell'udienza di comparizione, la disposizione contenuta nell'art. 35, comma 1, del d.lgs. n. 274 del 2000, deve ritenersi irragionevole e, dunque,  non conforme al dettato costituzionale.

 

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