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Colonialismo, fascismo, Montanelli e stupri di massa

rizzo

La scorsa settimana è stata riesumata una vecchia storia sullo scrittore e giornalista Indro Montanelli. Storia che era iniziata all'epoca dell'invasione dell'Italia fascista con la guerra in Etiopia, antica Abissinia (ottobre 1935 – maggio 1936). Montanelli, rientrato in Italia, diventa un editorialista del "Corriere della sera"è ha una rubrica fissa, "La stanza di Montanelli", una corrispondenza quotidiana con i lettori con domande, risposte e anche molte critiche. Rubriche che troviamo in molti giornali e riviste ancora oggi.

In una di queste stanze, una giovane lettrice di 18 anni, Rossella Locatelli, avendo assistito ad una trasmissione televisiva che si era occupata di un matrimonio tra Montanelli e una giovane abissina di 12 anni. chiede al giornalista di raccontare "quella avventura"!

Montanelli risponde: "Si trattava di trovare una compagna intatta per ragioni sanitarie e di stabilire con il padre il prezzo. Dopo tre giorni di contrattazioni a tutto campo tornò con la ragazza e un contratto redatto dal capo-paese in amarico, che non era un contratto di matrimonio ma – come oggi si direbbe – una specie di 'leasing', cioè di 'uso a termine'. Prezzo 350 lire (la richiesta era partita da 500) più l'acquisto di un 'tucul' cioè una capanna di fango e di paglia del costo di 180 lire. La ragazza si chiamava Destà e aveva 14 anni: particolare che in tempi recenti mi tirò addosso i furori di alcuni imbecilli ignari che nei Paesi tropicali a 14 anni una donna è già donna, e passati i venti è una vecchia. Faticai molto a superare il suo odore, dovuto al sego di capra di cui erano intrisi i suoi capelli, e ancor di più a stabilire con lei un rapporto sessuale perché era fin dalla nascita infibulata…"

Lo scrittore, senza alcun segno di pentimento, dichiarava di aver sposato una ragazzina di 14 anni (altri sostengono che la ragazzina avesse 12), d'averla posseduta fino a quando era rimasto con l'esercito in quei luoghi e di averla ceduta ad un suo servo, regalando loro anche dei soldi. E, dopo qualche tempo, era ritornato a visitare quella coppia che, nel frattempo, avevano avuto un figlio.

Quindi Montanelli in queste due occasioni, con serenità e senza alcun ritegno, con una cifra narrativa, che di norma si sceglie nel racconto di una "battuta di caccia", ha ammesso i fatti che gli erano stati contestati.

Ci si potrebbe chiedere come mai a 19 anni dalla scomparsa di Indro Montanelli, toscano di nascita e milanese d'adozione, torna d'attualità questa storia lontana nel tempo e che viene a "complicarci la vita" in un momento in cui la vita, individuale e collettiva, ci pone quei problemi tipici di un'epoca, come dire, "senza via di scampo".

Il Covid-19, una crisi economico-finanziaria di proporzioni inimmaginabili, un Paese spaccato alla ricerca di modelli politici, culturali, religiosi avendo messi in soffitta quelli "vecchi". 

E proprio a Milano è iniziata la battaglia contro Montanelli, "lo stupratore", con la copertura di vernice di una sua statua collocata in un giardino pubblico.

Com'è costume, di questa nostra epoca, i "social", a torto o a ragione, sono intervenuti nel dibattito con moltissimi giudici, "severi e integerrimi" che chiedono la rimozione della statua di Montanelli, spingendosi fino a chiedere di organizzare un "repulisti" di tutti i segni che contraddistinguono gli "eroi di un'epoca" se, la ricerca, le testimonianze, i documenti stabiliscono comportamenti di senso contrario.

E non sono mancate, quelle voci dal sapore nostalgico, che fanno vanto del Montanelli fascista, stupratore, testimone entusiasta dell'uso di gas contro bambini, donne, giovani, vecchi che, proprio in quel periodo di ubriacatura nefasta della costruzione di un "Impero italiano" causarono, e non solo in Eritrea, ma anche, qualche anno dopo, nella Dalmazia jugoslava, centinaia di migliaia di vittime innocenti.

Ecco il brano di una lettera di Benito Mussolini che scrive ai soldati della Seconda Armata in Dalmazia nel 1943: "So che a casa vostra siete dei buoni padri di famiglia, ma qui voi non sarete mai abbastanza ladri, assassini e stupratori".

Forse vale la penna di riassumere, soprattutto per chi, ad ogni pie' sospinto, va blaterando "prima gli italiani", una pagina drammatica, un'occasione, per ricordare cosa "gli italiani, brava gente", hanno fatto in quei territori occupati: tra il 1911 e il 1932 in Libia 100.000 mila morti; nello stesso periodo in Etiopia ed Eritrea 400.000 morti e altri 50.000 in Cirenaica. Con i gas, gli omicidi, i campi di concentramento. Per non parlare degli stupri. Un libro agghiacciante è stato scritto da Michele Strazza, scaricabile da internet, "Senza via di scampo". Gli stupri nelle guerre mondiali". Ora c'è da chiedersi: quanto durerà questo dibattito? La domanda non è peregrina se ci stiamo occupando di un fatto, avvenuto oltre ottant'anni fa, "scoperto" da alcune decine e riscoperto da una settimana. Quanto durerà questo dibattito, prima di essere riconsegnato alla flebile memoria di un popolo che non ha saputo affrontare dignitosamente la vera questione nazionale del fascismo e dell'antifascismo. 

Ma cose è stato il fascismo.

Ce lo spiega Mila Spigola, insegnante, pedagogista e scrittrice dal suo blog, lo scorso 18 giugno, partendo dal film di Ettore Scola, "Una giornata particolare".

"Una casalinga e un omosessuale come incarnazione di quel che fu il fascismo collettivo. Non la categoria storica. Ma il sistema valoriale e anti-valoriale dell'Italia della prima metà del Novecento che non scompare il 25 aprile, come un fiume carsico scorre e ogni tanto riappare. Direi troppo spesso per cui di fascismo e antifascismo tocca interrogarci. C'è che i conti con la Storia si fanno e non è solo un tema di fatti e di date, di morti e di guerre e di storicizzazione. Ma un tema di valori e anti-valori.

Quel film lo dice bene cosa fu il fascismo, in tema di valori: sessismo, razzismo, classismo, eliminazione delle libertà individuali della persona. Che sono vivi e vegeti. L'articolo tre della nostra Costituzione non dice che fece anche cose buone, che prima di una certa data non era malaccio Mussolini, e altre assurdità simili. Quell'articolo serve a ricordarci, tutti, come il rifiuto della democrazia al fascismo, la lotta delle ragazzine che rischiavano la vita per portare dispacci della resistenza, dei giovani, degli anziani, delle donne, dei preti, messi in fila davanti alle pareti e crivellati di colpi, fu soprattutto per quei valori. Giustizia e libertà. Ma forse oggi quell'articolo da solo non basta, se la paura che in tanti non l'abbiano capito o digerito nelle cellule, sorge e cresce. Contestualizzare, sento ripetere contestualizzare, 'a quel tempo si usava'. Non è vero che a quel tempo si usava e dunque era normale. Non si usavano la violenza e la discriminazione, la usavano i fascisti. È differente. C'era chi perseguiva gli omosessuali, o comunque li discriminava o condannava, come inferiori, e chi no. Come oggi. Allora erano i fascisti".

E dopo il 25 aprile 1945 si è cercato di rimettere in moto, dopo vent'anni di dittatura fascista, i meccanismi della democrazia liberale. I depistaggi, "le manine", per usare un termine contemporaneo, fecero in modo di insabbiare moltissime indagini.

E ce lo ricorda, un altro libro interessante di Franco Giustolisi, "L'armadio della vergogna":"Fra il 1943 e il 1945 decine di migliaia di civili furono vittime di 2273 stragi brutali compiute da nazisti e fascisti in tutto il paese. Nei mesi successivi alla Liberazione, molti dei colpevoli furono individuati e su di loro furono aperti procedimenti penali. Ma dal 1947 una mano ignota ha messo tutto a tacere. Dentro un armadio custodito nella Procura generale militare, 695 fascicoli sono rimasti sepolti per mezzo secolo. Dal 1994 la Procura militare ha riavviato i processi a carico dei pochi superstiti. L'autore, che ha portato alla luce l'esistenza dell'armadio della vergogna, ripercorre l'intera vicenda dell'insabbiamento e ricostruisce quelle stragi".

 

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