Affinché le cosiddette "vittime del dovere" ottengano l´attribuzione dei benefici previsti, è necessario che lavorino in condizioni tali da esporli a rischi che siano in rapporto con le ordinarie condizioni di svolgimento di compiti di istituto, essendo sufficiente anche il verificarsi dell´evento nella vigilanza ad infrastrutture civili e militari.
Così si pronunciano le Sezioni Unite della Cassazione con sentenza n. 10792/17, depositata il 4 Maggio.
La Corte d´Appello di Firenze, condannava il Ministero dell´Interno a inserire il fratello di un agente di polizia penitenziaria, deceduto a seguito di colpo di arma da fuoco esploso mentre era in servizio, nell´ elenco di coloro che accedono ai benefici assistenziali. Adiva la Cassazione il Ministero dell´Interno negando in capo al deceduto la qualifica di vittima del dovere, così come invece confermato in appello, e precisando che così si definisce colui il quale lavora in presenza di eventi che eccedono il rischio ordinario e istituzionale connesso alle funzioni svolte, e che per l´attribuzione di tale qualità è necessaria una valutazione della pubblica amministrazione sulla sussistenza delle condizioni ambientali ed operative che lo hanno esposto al rischio.
Richiamando risalente Giurisprudenza, la Suprema Corte confermava che, laddove sussistano i requisiti, un diritto soggettivo e non un interesse legittimo sta in capo alla vittima del dovere, dato che la pubblica amministrazione non ha alcuna discrezionalità nello stabilire se, quanto, in che tempi e modi il beneficio assistenziale. Aggiungeva a ciò che, secondo la Legge n. 266 del 2005, sono da considerarsi vittime del dovere i cittadini deceduti e superstiti, per effetto di ferite o lesioni riportate in conseguenza di azioni terroristiche e, gli altri dipendenti pubblici, deceduti o che abbiano subito un´invalidità permanente in attività di servizio o nell´ espletamento delle loro funzioni d´istituto e dipendenti da rischi specificatamente attinenti a operazioni di polizia preventiva e repressiva o di soccorso. A questi si aggiunge anche chi abbia contratto infermità permanenti da cui poi sia derivato il decesso.
Con il secondo motivo di gravame il ricorrente aveva lamentato la conferma, in appello, della qualifica di vittima del dovere in presenza di eventi imprevisti, anormali ed eccezionali che eccedono il rischio tipico del servizio svolto, essendo per cui necessario un rischio maggiore rispetto a quello che può dar luogo a infermità, lesioni e patologie riconosciute per causa di servizio, e l´aver considerato proprio il tal modo il colpo di arma da fuoco che essendo partito inavvertitamente da un collega durante la guardia, aveva ferito l´uomo provocandone in tal modo la morte.
Sul punto la Suprema Corte ribadisce che per attribuire i benefici assistenziali alle vittime del dovere è necessario che queste lavorino in condizioni che implichino l´esistenza o il sopravvenire di circostanze e fatti di servizio che hanno esposto il dipendente a maggiori rischi o fatiche, in rapporto alle ordinarie condizioni di svolgimento dei compiti di istituto, essendo sufficiente anche che l´evento si sia verificato mentre il soggetto svolgeva attività di vigilanza a infrastrutture civili e militari, come sono le case circondariali. E´ chiaro al riguardo l´articolo 563 punto c della succitata Legge.
Sussumendo tale vicenda nella disciplina richiamata, la Cassazione rigettava il ricorso presentato dal Ministero.
Paola Moscuzza, autrice di questo articolo si è laureata in Giurisprudenza presso l´Università degli Studi di Messina, nell´anno 2015.