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Cassazione: è nulla la sentenza del giudice di merito motivata per relationem con altra conclusiva di differente giudizio

Deve ritenersi radicalmente nulla la sentenza con la quale un giudice di merito, Tribunale o Corte territoriale che sia, dispone l´accoglimento di un ricorso riportandosi, sinteticamente e per relationem, alla motivazione resa da altro giudice in una controversia parallela o associata e, nella fattispecie, riguardante un contribuente che, in qualità di cliente, abbia o meno partecipato ad una frode attraverso l´utilizzo di fatture soggettivamente inesistenti, pervenendo al primo esito e motivando tale conclusione sulla base della circostanza che un altro collegio di merito si fosse già espresso sulla non falsità delle stesse fatture.



Una ordinanza realmente importante, che ribadisce in maniera estremamente decisa un orientamento per altro già affermato dalla Suprema Corte, quella che è stata depositata, con il n. 4294, dalla Sesta Sezione della S.C. di Cassazione, il 22 febbraio 2018. Ma cerchiamo di capire i fatti che hanno portato alla pronuncia.

Con sentenza del 22 aprile 2016, la Commissione tributaria
regionale della Toscana accoglieva l´appello proposto da una società di capitali avverso una sentenza n. della Commissione tributaria provinciale di Pisa che ne aveva respinto il ricorso contro un avviso di accertamento IVA ed altro 2005. In sentenza, la CTR osservava in particolare che, essendovi stata in una controversia parallela pronuncia di appello favorevole alla società fornitrice delle merci di cui alle fatture contestate quali soggettivamente inesistenti, non si poteva pertanto ritenere la partecipazione della società contribuente alla frode IVA de qua; che comunque le prove indiziarie allegate dall´Ente impositore non erano tali da ammetterne una presunzione (semplice) di consapevolezza della frode in questione da parte della contribuente medesima, essendo state peraltro le operazioni in oggetto regolarmente pagate e fatturate nonché corrispondenti a valori correnti di mercato.

Avverso la decisione proponeva ricorso per cassazione l´ Agenzia
delle entrate deducendo tre motivi.




La Suprema Corte di Cassazione, come in premessa, ha accolto il ricorso delle Entrate, con una sentenza resa in forma semplificata e sulla base dell´iter logico argomentativo che di seguito si espone.

I giudici di legittimità hanno Innanzitutto richiamato l´assunto alla cui stregua «La motivazione è solo apparente, e la sentenza è nulla perché affetta da "error in procedendo", quando, benché graficamente esistente, non
renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all´interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture» (Sez. U, Sentenza n. 22232 del 03/11/2016, Rv. 641526 - 01).

Ed ancora l´altro secondo il quale «La riformulazione dell´art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., disposta dall´art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7
agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni
ermeneutici dettati dall´art. 12 delle preleggi, come riduzione al
"minimo costituzionale" del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l´anomalia motivazionale
che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all´esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella "mancanza assoluta di motivi sotto l´aspetto materiale e grafico", nella "motivazione apparente", nel "contrasto irriducibile tra affermazioni
inconciliabili" e nella "motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile", esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di "sufficienza" della motivazione» (Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014, Rv. 629830).



Con riguardo poi al procedimento
tributario, distinto da un particolare rito, ha ancora affermato la Suprema Corte, la giurisprudenza di legittimità ha precisato come la motivazione di una sentenza può essere redatta "per relationem" rispetto ad altra sentenza non ancora passata in giudicato, purché resti"autosufficiente" riproducendo i contenuti mutuati e rendendoli oggetto di autonoma valutazione critica nel contesto della diversa, anche se connessa, causa, in modo da consentire la verifica della sua compatibilità logico - giuridica. La sentenza è, invece, nulla, ai sensi dell´art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., qualora si limiti alla mera indicazione della fonte di riferimento e non sia, pertanto, possibile individuare le ragioni poste a fondamento del dispositivo (Sez. 6 - 5, Ordinanza n. 107 del 08/01/2015, Rv. 633996 - 01); e che «In tema di prova per presunzioni, il giudice, dovendo esercitare la sua discrezionalità nell´apprezzamento e nella ricostruzione dei fatti in modo da rendere chiaramente apprezzabile il criterio logico posto a base della selezione delle risultanze probatorie e del proprio
convincimento, è tenuto a seguire un procedimento che si articola
necessariamente in due momenti valutativi: in primo luogo, occorre una valutazione analitica degli elementi indiziari per scartare quelli intrinsecamente privi di rilevanza e conservare, invece, quelli che, presi singolarmente, presentino una positività parziale o almeno potenziale di efficacia probatoria; successivamente, è doverosa una valutazione complessiva di tutti gli elementi presuntivi isolati per accertare se essi siano concordanti e se la loro combinazione sia in grado di fornire una valida prova presuntiva (...) conseguendone che deve ritenersi censurabile in sede di legittimità la decisione in cui il giudice si sia limitato a negare valore indiziario agli elementi acquisiti in giudizio senza accertare se essi, quand´anche singolarmente sforniti di valenza indiziaria, non fossero in grado di acquisirla ove valutati nella loro sintesi, nel senso che ognuno avrebbe potuto rafforzare e trarre vigore dall´altro in un rapporto di vicendevole completamento» (Sez. 6 - 5, Ordinanza n. 5374 del 02/03/2017, Rv. 643327 - 01).



Premessi tali principi, e riportandosi al thema decidendum, la Suprema Corte ha rilevato come relativamente alla prima censura, la motivazione della sentenza impugnata rientrasse paradigmaticamente "nelle gravi anomalie
argomentative individuate in detti arresti giurisprudenziali" e ponendosi "sicuramente al di sotto del "minimo costituzionale".

La CIR toscana - hanno infatti rilevato i giudici - ha affermato, "apoditticamente e peraltro sulla
base di un presupposto giuridicamente erroneo", che non essendo la società fatturante una "cartiera" sulla base di una sentenza del medesimo giudice tributario di appello emessa in diverso processo, quindi dovendosi escludere la sua partecipazione alla frode fiscale in oggetto, non potevasi affermare che ne fosse partecipe o almeno consapevole la società contribuente.

Così operando, però, la CTR "non ha risposto alle diverse questioni di fatto poste con l´appello agenziale, trascritte per autosufficienza nel ricorso per cassazione, ed in particolare se la SRL prima menzionata fosse una società "filtro" ossia fittiziamente interposta tra le società "cartiere" e l´altra, nonché che di ciò quest´ultima fosse consapevole
ovvero potesse esserlo".

Inoltre "per altro verso e relativamente ad entrambe le censure, con altrettanta
apoditticità la sentenza della ctr, ha affermato la Cassazione, ha stabilito "l´inadeguatezza delle correlative prove indiziarie addotte dall´Ente impositore su tale decisiva circostanza, così non solo concretizzando il contestato vizio motivazionale, ma anche la
violazione di legge di cui al terzo motivo, in totale difformità
applicativa dei criteri valutativi enunciati nell´ultimo principio di diritto citato".

Da qui la decisione di cassare la sentenza impugnata in relazione al primo e al terzo motivo disponendo il rinvio alla CTR perché la stessa possa uniformarsi agli espressi principi.

 

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