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"Cari Colleghi, ho studiato per nulla?" questa la mia domanda, e quel "Ma vai a lavorare!" che mi offende come avvocato e donna"

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"Serena, giovane avvocato: "Ora mi fermo e scrivo a voi, cari Colleghi. Ditemi, ho studiato per nulla?"

Questo il titolo, certamente provocatorio, della lettera aperta di Serena Iannicelli, avvocato iscritto all'Ordine di Roma, che l'ultima domenica di ottobre di quest'anno ha preso carta e penna, si fa per dire, per inviarci alcune considerazioni sulla prima parte della propria vita professionale.

Quell'articolo, da noi pubblicato integralmente, è stato letto da oltre 10.000 internauti, sollevando una marea di interazioni e commenti dei generi più svariati. Chi si è complimentato con la collega per la propria schiettezza, riconoscendosi nella stessa situazione, ma anche chi, una minoranza a dire il vero, ha liquidato la questione dicendo a Serena che avrebbe dovuto valutare la possibilità di cambiare mestiere. 

Una grande partecipazione al dibattito, in ogni caso, che ci ha portati a chiedere a Serena Iannicelli una replica. Le abbiamo chiesto di rispondere, in qualche maniera, ai colleghi e non che sono intervenuti soprattutto nella pagina Facebook del portale, perché riteniamo che su questi temi e sul dibattito attorno a questi temi si giochi in buona parte il futuro dell'avvocatura e dei giovani in modo particolare. 

Serena ha accolto il nostro invito con estrema disponibilità e ci ha inviato la sua replica che pubblichiamo:

"Ma andate a lavorare".
Il commento assolutamente fuori luogo, inopportuno, inconferente, come qualcuno giustamente ed educatamente nota, manifesta la materia di tanto speculare. La profezia si realizza, la descrizione del declino del prestigio di cui la classe forense dovrebbe godere diventa concreta.
Essere avvocato significa esercitare una professione intellettuale, ognuno lo fa come crede, come sente e come può eppure la cultura di massa, che negli ultimi cinquant'anni ha conosciuto un profondo imbarbarimento, con un'accelerazione mortale negli ultimi dieci, tende a disconoscere il valore di tale "lavoro", mancano i risultati immediati e visibili, mancano i calli, forse, manca sicuramente la coesione di classe. Noi avvocati non siamo lobby come qualcuno sibila a denti stretti, oggi anche il Ministro della Giustizia, un collega, sembra ragionare esattamente come il leone da tastiera di cui sopra: "avvocati=azzeccagarbugli"è questa l'equazione che promana dal Guardasigilli, non tutti, bisogna contestualizzare la frase, ma i titoli sparano colpi netti e il pubblico, si sa, è troppo distratto per andare fino al fondo del discorso. Allora non è una mera impressione, non è internet, non sono i social ad amplificare luoghi di comune grettezza: è cambiata la società e la cultura che essa esprime.
L'attitudine diffamatoria dei media di cui ho osato "lamentarmi" nella mia lettera aperta e per cui sono stata bacchettata da qualcuno ora è fatta propria dallo scranno più altro dell'amministrazione della Giustizia, oggi si celebra finalmente il giorno dell'Unità dell'Avvocatura, senza distinzione tra vincenti e perdenti, tra carriere decennali e trentennali, tra orientamenti politici opposti: definire un avvocato "azzeccagarbugli" è diffamazione, lo dice la Suprema Corte.
Lo dice la Suprema Corte ma è sotto i nostri occhi tutti i giorni, da anni, che spreco di occasioni, che peccato non essere arrivati prima noi del degrado culturale, cambiando il nostro singolo atteggiamento, uno dopo l'altro, giorno dopo giorno, perché questo è in nostro potere fare da subito, anche adesso, per dimostrare che questa professione la amiamo davvero e non la subiamo con soventi alzate di sopracciglio, chiusi in eburnee torri non comunicanti.
Ringrazio tutti coloro che hanno letto fino in fondo con attenzione, condiviso ed apprezzato la mia "lettera aperta"pubblicata, dopo Concita De Gregorio nella sua rubrica di Repubblica, nuovamente dai colleghi di Rando Gurreri & Partners, quelli che io definisco "uomini di buona volontà", aperti, innovatori, visionari, cogliendone l'aspetto costruttivo e d'amore, come è genuinamente nelle intenzioni con cui è stata scritta. Per chi vi ha letto altro, una lamentela, un minestrone, una banalità, chiedo scusa perché, credete "non s'è fatto apposta".

Per quanti non l'avessero letta, riproduciamo qui il testo della lettera di Serena:

Passata l'ennesima domenica a rivedere la posta dei clienti, a rileggere atti e documenti per controllare nuovamente il mio operato e capire se e dove migliorarlo, eventualmente, ho deciso di fermarmi e scrivere. Scrivere a tutti voi colleghi che sapete di cosa si tratta, a voi che lavorate nel settore giustizia a vario titolo e spesso sollevate il dito per accusare e sottolineare i difetti anziché gli sforzi di arginare un mondo intero che sta franando su se stesso perché è la natura delle cose, il cambiamento, anche in peggio, e in ultima analisi a voi che siete estranei a tutto questo e rimanete osservatori superficiali o distratti anche perché non è mai stata dichiarata la verità sul punto, la NOSTRA VERITA'.Sono sempre stata una studente modello, ho ottenuto i massimi voti nel mio corso di studi, passando le estati sui libri anziché al mare. Laureata a 24 anni con lode, abilitata 3 anni dopo all'esercizio della professione, terminati i 2 anni di pratica e uno necessario per concludere la procedura di abilitazione all'esercizio della professione forense, ho fatto tutto d'un fiato, con lo slancio di approdare presto al "mio futuro" e iniziare una carriera fatta di impegno ma anche di corrispettive soddisfazioni, materiali e non. Iscritta a gennaio 2007 all'albo ho iniziato la lentissima salita, costellata di riforme e ribaltoni politico-economici che hanno necessariamente influenzato il percorso professionale.La crisi economica, prima agitata come un oscuro fantasma, è divenuta conclamata, parole come austerity, spending review, tagli, globalizzazione, finanza mondiale si sono concretizzate in una congerie di novelle legislative, nuove prassi e strategie con cui il professionista si è dovuto cimentare suo malgrado. E' cambiata la società: induriti, inaspriti dalle notevoli difficoltà materiali e culturali i cittadini e i media si sono dedicati ad una medievale caccia alle streghe, che si sostanzia nella critica scandalistica e diffamante di ogni settore della società civile e delle istituzioni, per sottolinearne il degrado e l'inaffidabilità.

La rete è diventata il guru strampalato e multiforme della maggioranza che, persi i punti di riferimento canonici, viene bombardata da una massa caotica di informazioni spesso parziali, inveritiere, paradossali, artefatte e si dirige ora contro una categoria/simbolo/istituzione ora un'altra a seconda dell'agenda setting del momento.Ho assistito, inerme, impotente, alla caduta verticale del prestigio della libera professione che ho scelto e in cui credo con tutta me stessa, accompagnata dallo scherno del pensiero comune e mai ostacolata dalle riforme legislative che hanno oberato noi avvocati di adempimenti, obblighi ed oneri senza schermarci delle corrispondenti, necessarie ed adeguate tutele.L'avvocato assume il patrocinio, con i suoi obblighi e doveri, con la firma della procura, che al tempo stesso obbliga l'assistito al pagamento degli onorari e delle spese legali, anche in acconto, ma se ciò non avviene ( o non avviene nei tempi pattuiti ma a gusto e piacimento del cliente, che adotta un piano di rateizzazione non condiviso ma deciso unilateralmente) l'avvocato è comunque tenuto a proseguire e realizzare tutta l'attività necessaria per espletare il mandato ricevuto, anche se questa richiede costi superiori alle somme eventualmente versate in acconto o, addirittura, se il cliente non paga né mostra sicura solvibilità. Finchè non si esaurisce il mandato o si interrompe per rinuncia o revoca l'avvocato lavora senza altra certezza se non quella di essere diligente ed accorto per tutelare i diritti dell'assistito nella completa negligenza dei propri.

Il codice deontologico, agganciandosi a principi presenti nella nostra Costituzione, ci richiede di esercitare l'attività con "[..] dignità e decoro"ma mi domando come si possa pensare a tali concetti in maniera unilaterale e come possa un avvocato conservare le proprie prerogative nei confronti di clienti che non adempiono i propri obblighi sapendo di andare esenti da sanzioni, che comparano le prestazioni legali tra loro in base ai soli prezzi come la merce di un grande magazzino, che traggono le informazioni sulla legislazione e sui processi da internet nell'illusione di poter controllare l'operato del legale di fiducia per poterlo gestire o, peggio, accusare.Mi chiedo come si possa definire "decorosa" un'attività che non trova alcuna difesa per se stessa, di fronte alle chiamate nei giorni di festa, durante gli orari di riposo, alle mail che ci raggiungono ovunque ed hanno spesso contenuti irrilevanti o peggio emulativi, alle insinuazioni di terzi che osservano ipotetiche mancanze o attività "che si sarebbero dovute fare", insinuazioni infamanti che diventano spesso insulti, diffamazioni o, peggio, calunnie, senza colpevoli e senza condanne, alle gravi infrazioni del comune senso dell'opportunità, della privacy ed alle regole dell'educazione e del vivere civile.Da donna minuta e sorridente quale sono, quale è la mia personalità che esplico, essendo il mio diritto, anche nell'ambiente e nell'esercizio della professione, ho dovuto subire i commenti fuori luogo e volgari di chi mi riteneva poco aggressiva ed incisiva rispetto a ben più imponenti colleghi, commenti che hanno ferito la mia dignità intellettuale che mai è stata denigrata altrove, avendo superato le prove di esame, per tutta una vita, solo con la "stazza" delle mie doti intellettive e nient'altro. Mi ferisce ricordare che questi commenti sessisti e oltremodo rozzi sono stati proferiti per la maggioranza da donne.Chiedendo perdono se mi sono dilungata facendo riferimento anche ad episodi della mia esperienza diretta, oggi scrivo perché la mia domanda di tutela, urgente, sanguigna, piena di speranza, arrivi a tutti voi e si possa unire ad un coro di uomini di buona volontà, validi cittadini, fieri professionisti, affinchè qualcosa cambi prima nella cultura e nelle menti, poi nelle istituzioni e nelle leggi.Basta disfattismo, basta critiche senza base e senza costrutto, basta barbarie: se i tutori dei diritti restano sforniti di questi per se stessi siamo ad un passo dalla fine. Fermiamoci prima!P.s. In sintesi: non sarebbe forse opportuno inserire nel contratto professionale, oggetto d'obbligo anch'esso, un elenco, non esaustivo, dei doveri ed obblighi corrispettivi del cliente? Oppure siamo così proni alle necessità di mercato che la nota regola del "cliente ha sempre ragione" si applica anche ad una professione che affonda la sua ragion d'essere nei pilastri del vivere civile, oltre le misere logiche economiche? Come può il singolo avvocato, con cui il cliente ha un rapporto di fiducia, godere di reciprocità all'interno di questo e assicurare la propria completa leale disponibilità e l'accesso ai propri recapiti senza rischiare di essere molestato, aggredito, insolentito e diffamato da soggetti che cambiano rapidamente atteggiamento a seconda della convenienza e degli esiti, imperscrutabili, della domanda di giustizia? Come può un avvocato rappresentare il proprio ruolo con dignità e decoro se la società civile in cui vive ne è priva?

Serena Iannicelli, Avvocato

 

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