Lo ha stabilito il T.A.R. Emilia - Romagna, Sede di Bologna (Sezione In. I) con Sentenza 9 febbraio 2016 n. 166.
Il giudizio ha preso le mosse dalla richiesta di alcune parrocchie bolognesi ad un Istituto Scolastico di poter compiere, in occasione della Pasqua, il rito di benedizione pasquale per gli alunni della Scuola, al termine delle lezioni di uno degli ultimi giorni precedenti le vacanze pasquali, all´interno di salone o palestra.
il Consiglio di Istituto dell´Istituto comprensivo disponeva di concedere l’apertura dei locali scolastici per le benedizioni richieste dai parroci, a condizione che ciò avvenisse in orario extra scolastico; che gli alunni fossero accompagnati dai familiari.
Contro questo provvedimento proponevano ricorso al T.A.R. i ricorrenti, alcuni in veste di docenti dei plessi scolastici interessati e altri in quanto genitori di alunni della scuola, oltre ad
un’associazione avente quale finalità statutaria la salvaguardia della laicità e aconfessionalità della scuola pubblica.
I ricorrenti fondavano la propria contestazione: nella circostanza per cui, in quanto rito o atto di culto religioso, la benedizione pasquale cattolica non poteva rientrare nelle forme di attività scolastica e neppure nelle attività complementari ed integrative di cui al D.P.R. n. 567 del 1996; denunciando, inoltre, l’incompetenza del Consiglio di Istituto, in quanto se anche un atto di culto potesse costituire attività didattico/culturale la questione sarebbe stata in ogni caso riconducibile alle attribuzioni del Collegio dei docenti; se invece si fosse trattato di attività “complementari” o “integrative”, sarebbe stato comunque necessario acquisire il parere del Collegio dei docenti; lamentando poi l’assenza di qualsivoglia motivazione della scelta operata.
Di qui la richiesta di annullamento dell’atto impugnato.
Costituitisi in giudizio il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca e l’Istituto comprensivo n. 20 di Bologna, all´udienza del 27 gennaio 2016 la causa è passata in
decisione.
Sgombrato il campo da alcune eccezioni preliminari, il Collegio ha affrontato la questione nel merito.
Il T.A.R. ha innanzitutto premesso che il principio costituzionale della laicità dello Stato non significa indifferenza di fronte all´esperienza religiosa ma comporta piuttosto equidistanza e imparzialità rispetto a tutte le confessioni religiose. Quindi, la tutela della libertà religiosa non è esclusione totale dalle istituzioni scolastiche di tutto ciò che riguarda la religione ma fare in modo che l´attività formativa degli studenti si giovi della conoscenza di simili fenomeni se ed in quanto fatti culturali portatori di valori non in contrasto con i principi fondanti
del nostro ordinamento, evitando quindi che la scuola possa essere coinvolta nella celebrazione di riti religiosi, estranei ad un ambito pubblico che deve evitare discriminazioni.
Ciò premesso, riguardo al rilievo dell´Istituto che difende la propria decisione rinviando all´art. 96, comma 4 (“Gli edifici e le attrezzature scolastiche possono essere utilizzati fuori dell’orario del servizio scolastico per attività che realizzino la funzione della scuola come centro di promozione culturale, sociale e civile …”) e comma 6 (“Nell´ambito delle strutture scolastiche, in orari non dedicati all´attività istituzionale, o nel periodo estivo, possono essere attuate, a norma dell’art. 1 della legge 19 luglio 1991, n. 216, iniziative volte a tutelare e favorire la crescita, la maturazione individuale e la socializzazione della persona di età minore al fine di fronteggiare il rischio di coinvolgimento dei minori in attività criminose”), del d.lgs. n. 297 del 1994, osserva il Collegio che tale norma richiede però che si tratti di “…attività che realizzino la funzione della scuola come centro di promozione culturale, sociale e civile …” (comma 4) ancorandone la destinazione al raggiungimento di obiettivi di piena partecipazione della comunità scolastica; nessuno spazio per riti religiosi mentre possono esservi occasioni di incontro che su temi anche religiosi consentano confronti e riflessioni in ordine a questioni di rilevanza sociale, culturale e civile.
Nella fattispecie, al contrario, è stato autorizzato un vero e proprio rito religioso da compiersi nei locali della scuola e alla presenza della comunità scolastica, sì che non ricorre l’ipotesi di cui all´art. 96, comma 4, del d.lgs. n. 297 del 1994, e neppure quella di cui al successivo comma 6, riferito al diverso ambito delle iniziative disocializzazione e stimolo della maturazione degli studenti per “…fronteggiare il rischio di coinvolgimento dei minori in attività criminose”.
Ribadito, in conclusione, che le attività di culto religioso attengono alle pratiche di esercizio del credo confessionale di ciascun individuo e restano confinate nella sfera intima dei singoli, mentre una rilevanza culturale, non lesiva della libertà religiosa e non incompatibile con il principio di laicità dello Stato – quindi non escludente quanti professano una fede religiosa diversa o sono atei –, hanno tutte le attività che, nel diffondere elementi di conoscenza e approfondimento circa le religioni, la loro storia e le relazioni nel tempo intessute con la comunità, contribuiscono ad arricchire il sapere dei cittadini e ad assecondare in tal modo il progresso della società, il T.A.R. ha accolto il ricorso e annullato gli atti impugnati.
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