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Con l'ordinanza n. 12675 dello scorso 25 giugno, la VI sezione civile della Corte di Cassazione ha accolto il ricorso di un legale che si doleva perché, intervenuta la morte del cliente, non aveva ricevuto il compenso da un suo erede, parte convenuta nelle cause intraprese.
Si è difatti precisato che "non può avere rifluenza nei confronti del terzo contraente il fatto che l'esecuzione del contratto (nella specie il mandato di assistenza e rappresentanza in giudizio) si sia posto in contrasto con l'interesse degli eredi o di uno degli eredi, poiché trattandosi di un debito della massa al creditore non è opponibile il rapporto interno tra de cuius ed eredi".
Il caso sottoposto all'attenzione della Cassazione prende avvio dall'esecuzione di alcune prestazioni di assistenza legale svolte da un avvocato in diverse cause; deceduta la parte assistita, l'avvocato chiedeva ai vari eredi il pagamento del compenso ad esso spettante per le prestazioni effettuate a favore del de cuius.
Ricevuto il diniego da parte dell'originario contraddittore del proprio cliente, lo citava in giudizio al fine di ottenere quanto dallo stesso dovuto pro quota ereditaria.
Il Tribunale di Brindisi, confermando in appello la sentenza del Giudice di Pace, rigettava la domanda, sul presupposto che – essendoci, nel caso in esame, altri successori universali diversi dalla controparte – nei confronti di quest'ultima non si verificava alcuna successione processuale ed il processo proseguiva esclusivamente dagli o nei confronti degli altri successori.
Si concludeva, quindi, affermando che l'erede, conservando in tali giudizi il ruolo di convenuto, sarebbe stato tenuto al pagamento delle spese processuali dei medesimi giudizi solo in caso di soccombenza.
Ricorrendo in Cassazione, il legale eccepiva violazione e falsa applicazione degli artt. 752, 475, 1720 e 2233 del codice civile, nonché dell'art. 91 del codice di procedura civile in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 3.
A tal fine il ricorrente evidenziava come il Tribunale, nel negare il suo diritto ad esigere il compenso anche da parte del convenuto, aveva confuso il diritto di credito nascente dal mandato professionale, in relazione al quale l'intimato era chiamato a rispondere pro-quota ereditaria, con i rapporti fra coeredi, ai quali il professionista risultava estraneo.
La Cassazione condivide le doglianze sollevate del ricorrente.
La Corte specifica che non può avere influenza, nei confronti del terzo contraente, il fatto che l'esecuzione del contratto consistente in un mandato di assistenza e rappresentanza in giudizio si sia posto in contrasto con l'interesse degli eredi o di uno degli eredi, poiché trattandosi di un debito della massa al creditore non è opponibile il rapporto interno tra de cuius ed eredi.
Con specifico riferimento al caso di specie, la Corte ribadisce come l'avvocato ha diritto alle proprie competenze, a prescindere dall'esito del giudizio, per aver adempiuto al contratto d'opera professionale e per aver assistito il de cuius; intervenuto il decesso del cliente, nella sua posizione soggettiva sono subentrati gli eredi, fra i quali anche l'originaria parte contrapposta, e la circostanza che in quel contenzioso l'erede resistente fosse contraddittore del de cuius costituisce un mero irrilevante accidente.
Alla luce di tanto, infatti, l'erede contraddittore è ugualmente tenuto, sia pure pro quota ereditaria, al pagamento del compenso dovuto al professionista per le attività professionali svolte in favore del de cuius, ovviamente fino al decesso di quest'ultimo.
In conclusione, la Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per il regolamento delle spese del giudizio di legittimità, al Tribunale di Brindisi, in persona di altro magistrato.
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