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Avvocati, compensi: motivazione rafforzata se il giudice si discosta dalla nota spese

Avvocati, compensi: motivazione rafforzata se il giudice si discosta dalla nota spese

Con l'ordinanza n. 27896 dello scorso 13 ottobre, la I sezione civile della Corte di Cassazione ha cassato un decreto nel quale il giudice delegato a un fallimento, nel liquidare i compensi dovuti dall'avvocato della procedura, riconosceva al procuratore un compenso molto inferiore rispetto a quello richiesto nella nota spese, senza indicare specificamente e con chiarezza quali fossero le voci di compenso non dovute per ciascuna attività indicata.

Si è difatti specificato che "quando è acquisita agli atti del processo una specifica nota delle spese il giudice non può limitarsi ad una globale determinazione dei diritti di procuratore e degli onorari di avvocato in misura inferiore a quelli esposti ma ha l'onere di dare adeguata motivazione dell'eliminazione e della riduzione di voci da lui operata, allo scopo di consentire, attraverso il sindacato di legittimità, l'accertamento della conformità della liquidazione a quanto risulta dagli atti ed alle tariffe, in relazione all'inderogabilità dei relativi minimi sancita dall'art. 24 della legge n. 794 del 1942".

Nel caso sottoposto all'attenzione della Cassazione, un legale, a dimostrazione delle attività compiute e dei compensi maturati per l'attività svolta nell'interesse di una procedura fallimentare, redigeva una specifica nota delle spese, dei diritti e degli onorari a lui spettanti per l'attività svolta nel giudizio.

Il giudice delegato riconosceva, con decreto, al legale un compenso pari a complessivi Euro 29.551,00.

L'avvocato proponeva reclamo, evidenziando, a sostegno della misura degli onorari da lui indicata nella nota spese, lo svolgimento di una "fitta e complessa attività defensionale", evidenziata nella nota spese consegnata agli atti del fascicolo di primo grado. 

Il Tribunale di Marsala, a definizione di procedimento di reclamo promosso dall'avvocato contro il summenzionato decreto, confermava l'importo ivi indicato.

Secondo il giudicante, infatti, non era stato provato lo svolgimento di una "fitta e complessa attività defensionale", essendosi l'attività del professionista sostanziata nella redazione e notificazione della citazione, nel deposito di tre memorie in replica notificate alla controparte e nel deposito di istanza di fissazione di udienza di discussione; il Giudice, inoltre, rilevava come il reclamante, nella parte della nota spese dedicata ai diritti di procuratore, aveva indicato numerose voci non dovute, duplicando alcune attività ovvero chiedendo il riconoscimento di taluni diritti già specificamente indicati nel decreto sicché, alla luce della chiara inattendibilità della nota spese consegnata agli atti del fascicolo di primo grado ed in assenza di diversa evidenza documentale, la liquidazione effettuata dal giudice delegato risultava coerente all'attività effettivamente resa.

Il legale, ricorrendo in Cassazione, censurava l'illegittimità del provvedimento per violazione e falsa applicazione dell'art. 24 della legge n. 794 del 1942 nella parte in cui, confermando l'importo fissato dal giudice delegato quale compenso dovuto per lo svolgimento dell'attività difensiva, non aveva tenuto conto delle voci inserite nella nota spesa, né aveva offerto motivazione adeguata a sostegno della propria decisione. 

La Cassazione condivide le doglianze del ricorrente.

In punto di diritto, la Corte ricorda che, quando è acquisita agli atti del processo una specifica nota delle spese, il giudice non può limitarsi ad una globale determinazione dei diritti di procuratore e degli onorari di avvocato in misura inferiore a quelli esposti, ma ha l'onere di dare adeguata motivazione dell'eliminazione e della riduzione di voci da lui operata, allo scopo di consentire, attraverso il sindacato di legittimità, l'accertamento della conformità della liquidazione a quanto risulta dagli atti ed alle tariffe, in relazione all'inderogabilità dei relativi minimi sancita dall'art. 24 della legge n. 794 del 1942.

Con specifico riferimento al caso di specie, gli Ermellini evidenziano come il giudice, nel ritenere inattendibile la nota depositata dal legale, nella parte dedicata ai diritti del procuratore, avrebbe dovuto determinare i diritti relativi a ciascuna attività documentata secondo le voci della tariffa applicabile; di contro, il decreto impugnato non indicava specificamente, con chiarezza, quali attività fossero state duplicate dal professionista nella nota spese e quali fossero le voci di compenso non dovute per ciascuna attività indicata.

In conclusione, la Corte accoglie il ricorso, cassa il provvedimento impugnato con rinvio al Tribunale di Marsala in persona di diverso magistrato, che provvederà anche sulle spese di lite. 

 

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