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Avvocati: qual è il valore della parcella?

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La parcella dell'avvocato costituisce una dichiarazione unilaterale assistita da una presunzione di veridicità per via dell'iscrizione all'albo del professionista, e, pertanto, ove manchino contestazioni, essa non può essere disconosciuta dal giudice relativamente alle voci ivi contenute (Cass. S.U. n. 14699/2010).

Questo è quanto ha ribadito la Corte di Cassazione, con ordinanza n. 24387 del 9 settembre 2021.

Ma analizziamo nel dettaglio la questione sottoposta all'esame dei Giudici di legittimità.

I fatti di causa

Il ricorrente è un avvocato che ha agito in giudizio nei confronti di due suoi clienti per ottenere il pagamento dei compensi professionali maturati a seguito della prestazione. La sua domanda è stata rigettata in quanto è stata rilevata l'impossibilità di riferire le attività di cui alla parcella versata in atti a entrambi i clienti. Contro la decisione del giudice di primo grado, il ricorrente ha proposto appello. Il giudice di secondo grado, pur riconoscendo il rapporto professionale intercorso tra le parti, ha ritenuto di ridurre l'importo indicato in parcella.

Il caso è giunto dinanzi alla Corte di Cassazione.

Ripercorriamo l'iter logico-giuridico di quest'ultima autorità giudiziaria. 

La decisione della SC

Innanzitutto i Giudici di legittimità richiamano il principio sancito dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, in forza del quale la parcella dell'avvocato costituisce una dichiarazione unilaterale assistita da una presunzione di veridicità, in quanto l'iscrizione all'albo del professionista è una garanzia della sua personalità; pertanto, le "poste" o "voci" in essa elencate, in mancanza di specifiche contestazioni del cliente, non possono essere disconosciute dal giudice (Cass. S.U. n. 14699/2010). Tuttavia, il giudice:

  • nel giudizio per la determinazione del compenso dovuto all'avvocato, non è vincolato al parere di congruità del Consiglio dell'Ordine e può discostarsene, riducendo anche l'importo della parcella. Incomberà sul professionista l'onere di provare la pretesa, per consentire al giudice la verifica delle singole prestazioni svolte e la loro corrispondenza con le voci e gli importi indicati nella parcella ( (Cass. nn. 712/2018 e 18777/2005);
  • nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo avente ad oggetto il pagamento di prestazioni professionali, la contestazione relativa all'espletamento e alla consistenza dell'attività consentirà al giudice di esercitare il potere-dovere di verifica anche del "quantum debeatur", senza incorrere nella violazione dell'art. 112 c.p.c. (Cass. n. 230/2016). E ciò in considerazione del fatto che la parcella corredata dal parere del competente Consiglio dell'ordine di appartenenza del professionista ha valore di prova privilegiata e carattere vincolante per il giudice ai fini della pronuncia dell'ingiunzione, ma non ha - costituendo semplice dichiarazione unilaterale del professionista - valore probatorio nel successivo giudizio di opposizione. Ne consegue che l'avvocato, nel giudizio di opposizione, dovrà provare l'effettività e la consistenza delle prestazioni eseguite o l'applicazione della tariffa pertinente e la rispondenza ad essa delle somme richieste (Cass. n. 10150/2003).

Tanto premesso, tornando al caso di specie, la Corte di Cassazione ritiene che nella vicenda in esame, il giudice d'appello abbia correttamente applicato i suddetti principi, evidenziando che i clienti appellati hanno contestato il diritto a un ulteriore compenso da parte del ricorrente; contestazione, questa, che ovviamente ha investito anche la correttezza della quantificazione delle somme dovute. La sentenza impugnata, infatti, pur confermando lo svolgimento da parte del professionista delle attività riportate nella notula, ha correttamente:

  • proceduto a una verifica sia della possibilità di remunerare le singole attività riportate nella parcella, alla luce delle previsioni tariffarie applicabili, sia della congruità della somma richiesta, tenuto conto della qualità delle prestazioni rese, della loro importanza e dell'esito che ha avuto il contenzioso per il quale il ricorrente ha assistito uno dei due clienti;
  • determinato il compenso sulla base delle tariffe professionali vigenti […] nei limiti imposti dalla contestazione [...], senza quindi negare l'effettività delle prestazioni rese, ma ricalcolando il compenso secondo i criteri di determinazione suggeriti dallo stesso DM n. 127/2004, e per le sole attività per le quali è appunto riconosciuto il diritto al corrispettivo.

Alla luce delle considerazioni sin qui svolte, pertanto, la Suprema Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, confermando la decisione impugnata. 

 

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