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Il Niscemese Salvatore Ragusa Scrittore e poeta

rizzo

 Prima di presentare, e di riflettere, sulle opere di Salvatore Ragusa, mi sia concessa una introduzione che ci aiuterà meglio a capire la sua condizione di scrittore e di poeta.

Qualche decennio fa, un inserto culturale del quotidiano siciliano "La Sicilia, Stilos", ha intervistato poeti, scrittori, pittori, artisti, scultori, uomini di teatro e di cinema, intellettuali ai quali era stata richiesta risposta all'eterno dilemma: partire o restare: partire e ritornare?

Il problema, a dire il vero, dell'intellettuale siciliano, nella larga accezione del termine, che ha abbandonato la Sicilia non è di oggi, ma, legato a situazioni e circostanze specifiche, almeno dall'Ottocento in avanti.

Salvatore Ragusa, figlio "ro ziu Totò e fratello del cavalier Giovanni, storico dirigente dell'Ufficio di stato civile di Niscemi, di Giuseppe e di Nenè, nasce a Niscemi nel 1934, dove compie gli studi fino alla maturità classica. Dopo molti anni, nel 2004, già in pensione, si laurea in giurisprudenza.

A Niscemi, e non poteva essere diversamente per un giovane in quell'epoca, allaccia una affettuosa amicizia con Mario Gori che lo propone, con la firma "VICE" al "Corriere di Sicilia", il quotidiano catanese al quale collaborava lo stesso Gori.

 Inizia, a scapito degli studi consigliati caldamente dal padre, la professione di giornalista: "La Sicilia", "Il Tempo", "Sud Sport", "Il Giornale di Sicilia" ed una breve collaborazione con il "Gazzettino Regionale della RAI".

Nel 1961 approda a Milano per motivi di lavoro in una multinazionale americana, con sede a Milano, e nel 1995 pubblica il suo primo romanzo: "Caro vecchio lume a petrolio".

Nel 1999 dà alla stampa una raccolta di poesie, "Venditore di sogni" e nel 2004 il secondo romanzo, "Gente di paese, poesia e morte in Sicilia".

Opere che hanno ricevuto vari riconoscimenti nazionali.

Se ho ritenuto necessaria la mia introduzione iniziale è perché Salvatore Ragusa si inserisce, con armonia, in quel contesto di tanti nostri scrittori che, come afferma Vincenzo Consolo, sono diversi i motivi che spingono uno scrittore verso il Nord del Paese. E come Consolo, Salvatore Ragusa è tornato, ed è continuato a tornare fino la sua dipartita, alcun i mesi fa, nella sua Niscemi puntualmente ogni anno.

Leggendo le opere di Salvatore Ragusa si sente quella nostalgia buona del mondo abbandonato, degli affetti lasciati, delle amicizie perdute, quella di Mario Gori, soprattutto, che aleggia come una presenza importante negli scritti fin qui pubblicati.

Un filo conduttore lega queste opere: la volontà, più che il desiderio, di testimonianza di un mondo che Salvatore Ragusa ha visto scomparire, anno dopo anno, giorno dopo giorno.

E, arrivato ad un momento importante della sua vita, si ferma e si mette a scrivere.

"Come anima in pena,

che sollazzo declina,

vago per strade deserte

alla ricerca delle gioie perdute,

in compagnia della mia ombra,

dalla luce riflessa".

E' l'"incipit" che apra la prima pagina di "Caro vecchio lume a petrolio".

Salvatore Ragusa, ha bisogno di un interlocutore con cui confrontarsi. La scelta cade sulla mamma, alla quale scrive tredici lettere dal 5 febbraio al 13 marzo 1995.

Il titolo gli viene suggerito da un'abitudine della mamma, rimasta poi per tutta la vita, ed iniziata quando il padre era stato richiamato, nel periodo della seconda guerra mondiale e la donna era rimasta sola con due figli: "Ti ricordi mamma, quando ti inginocchiavi tenendo in mano il lume a petrolio acceso, per accertarti con la fiammella che nessun estraneo si fosse nascosto sotto il letto o qualche tavolo? Temevi che un malintenzionato, senza essere visto, fosse entrato in casa.

Papà era partito per la guerra ed eravamo rimasti noi tre soli: tu, io mio fratello Giorgio, più piccolo di me. Avevi paura del buio e, per farti coraggio, lasciavi il lume acceso, con la fiamma abbassata, per tutta la notte. E lo spegnevi alle prime luci dell'alba".

Un capitolo-lettera piena di notizie sullo sbarco delle forze anglo-americane, sui poveri bersaglieri, la compagnia "Livorno" mandata a morire con le biciclette e il fucile a tracollo contro i carri armati. Una vecchia signora, il giorno dopo griderà: "Sono morti tutti! Li hanno mandati al macello senza pietà. I loro fucili contro le cannonate". E ancora un documento sullo stato delle nostre "trazzere", sull'incontro con i primi soldati americani e le caramelle e la cioccolata di cui erano portatori, oltre ché della libertà.

Una descrizione della guerra vista con gli occhi di un bambino che ricorda tanto "Il sentiero dei nidi di ragno" di Italo Calvino.

Vivi ed interessanti le descrizioni delle Feste: da quella della Patrona a quella Pasquale.

"Era un gioire festoso per il vestito nuovo da indossare, comprato per l'occasione, per la corsa dei cavalli che teneva il fiato sospeso migliaia di persone; per i palloni colorati, simili a piccole mongolfiere, che salivano lentamente sempre più in alto, sotto lo sguardo dei presenti… fino a disperdersi nel cielo stellato".

 Queste lettere, come d'altronde i medaglioni di "Gente di Paese" e le poesie di "Venditore di sogni" racchiudono personaggi ed avvenimenti del nostro passato, rappresentano una miniera di informazioni sulle nostre tradizioni, sui nostri stili di vita, sulle nostre fobie, sui nostri tic… che non riusciamo ad abbandonare, che fanno parte del nostro carattere e, nel bene come nel male, ci condizionano anche quando pensiamo di essere riusciti a lasciarci tutto dietro le spalle.

Uno splendido pezzo di memoria nostra.

Quanti personaggi che hanno scritto belle pagine di storia niscemese ci ripropongono questi testi di Salvatore Ragusa. Quanti avvenimenti, tristi e lieti arricchiscono queste pagine.

Ma i personaggi, al di là degli aspetti autobiografici dell'autore, riescono, grazie ad una scrittura asciutta, ricca di forme lessicali ben scelte, padroneggiate da grammatica e sintassi di cui si ha assoluta padronanza, i personaggi, adolescenti soprattutto, dicevamo, riescono a muoversi, con cadenze ben congegnate in quel turbinìo di emozioni, in quelle denunce precise, in quel rifiuto di riconoscersi nelle scelte degli adulti e nell'avanzare proposte, come dire, "rivoluzionarie".

Ai giovani, amava ripetere Benedetto Croce, lasciamo il tempo di crescere. Ma tra questo lasso di tempo i giovani soffrono per quelle forme di ingiustizie che vedono consumarsi sotto i loro occhi.

La condizione della donna in Sicilia, l'umiliazione di quel famigerato articolo del vecchio codice penale, il 587, che vanificava ogni pena dovuta all'uomo che uccideva la propria donna se colta in fragrante adulterio. Articolo abrogato il 5 agosto 1981.

I tanti omicidi di donne nel fiore degli anni perché avevano sentito battiti e pulsioni diversi della moglie ubbidiente, vengono riportati con dovizia di particolare dal giovane cronista.

Così come la sofferenza delle donne tradite.

 

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