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Avvocati e condotte dei collaboratori: la responsabilità disciplinare

CNF

Secondo la costante giurisprudenza, l'avvocato è personalmente responsabile delle condotte ascrivibili a suoi associati, collaboratori e sostituti, salvo che il fatto di questi integri una loro esclusiva e autonoma responsabilità disciplinare che, tuttavia, deve essere adeguatamente e specificamente documentata e comprovata; la responsabilità disciplinare, difatti, sussiste (Cfr. CNF 142/2019) anche nell'ipotesi di affidamento di un sub incarico a collaboratori di studio, qualora vengano affidati compiti che il professionista avrebbe dovuto svolgere personalmente o sotto la sua personale responsabilità, verificandone l'esecuzione attentamente e costantemente.

Questo è quanto ha ribadito il Consiglio nazionale forense (Cnf), con decisione n. 2 del 23 febbraio 2022 (fonte https://www.codicedeontologico-cnf.it/GM/2022-2.pdf).

Ma vediamo nel dettaglio la questione.

I fatti del procedimento

Il Giudice della prima sezione penale del Tribunale ha segnalato all'Ordine degli Avvocati il ricorrente per aver, quest'ultimo, richiesto la liquidazione dei compensi per l'attività svolta quale difensore di ufficio, nell'ambito di un procedimento penale innanzi detto Tribunale, nonostante fosse risultato che il difensore avesse partecipato solo a un'udienza. È accaduto che a seguito di detta segnalazione è stato aperto un procedimento disciplinare nei confronti del ricorrente. Quest'ultimo ha provveduto a inoltrare al Consiglio distrettuale di disciplina memoria difensiva con documenti, nella quale ha giustificato i fatti contestatigli evidenziando che la nota spese per la liquidazione del compenso, quale difensore d'ufficio in quel processo penale, è stata redatta - così come quelle relative ad altri processi che ha seguito professionalmente - da suoi collaboratori i quali, verosimilmente, hanno commesso errori nella stampa delle fotocopie dei verbali di udienza, involontariamente sovrapponendoli, formando delle fotocopie alterate rispetto agli originali. 

Tale giustificazione non è stata ritenuta convincente e così all'esito del procedimento è stata comminata al ricorrente la pena disciplinare della sospensione per mesi quattro dall'esercizio della professione forense. Nella motivazione della decisione il Consiglio distrettuale ha evidenziato che, nella determinazione della misura della sanzione, ha tenuto conto di precedenti disciplinari a carico del ricorrente.

Il caso è giunto dinanzi al Cnf.

Ripercorriamo l'iter logico-giuridico di quest'ultima autorità.

La decisione del Cnf

Il Cnf fa rilevare che, con riferimento alla responsabilità per alterazione dei verbali di udienza asseritamente riversata sul collaboratore dall'incolpato, la costante giurisprudenza ha precisato che l'avvocato è personalmente responsabile delle condotte ascrivibili a suoi associati, collaboratori e sostituti, salvo che il fatto di questi integri una loro esclusiva e autonoma responsabilità disciplinare che, tuttavia, deve essere adeguatamente e specificamente documentata e comprovata; la responsabilità disciplinare, difatti, sussiste (Cfr. CNF 142/2019) anche nell'ipotesi di affidamento di un sub incarico a collaboratori di studio, qualora vengano affidati compiti che il professionista avrebbe dovuto svolgere personalmente o sotto la sua personale responsabilità, verificandone l'esecuzione attentamente e costantemente. 

In questi casi, in ordine alla responsabilità disciplinare, non è necessario che vi sia dolo specifico o generico, essendo sufficiente la suitas, ovvero la volontarietà dell'atto compiuto o omesso, che trova consistenza anche nel mancato controllo del comportamento dei collaboratori e/o dipendenti. Il mancato controllo, infatti, costituisce piena e consapevole manifestazione della volontà di realizzare una sequenza causale che, in astratto, può condurre ad effetti diversi da quelli voluti, che però ricadono sotto forma di volontarietà sul soggetto che avrebbe dovuto vigilare, e non lo ha fatto (cfr. CNF 177/2020; 142/2019). Orbene, tornando al caso di specie, alla luce di quanto sin qui esposto, il Cnf ha ritenuto condivisibile la decisione del Consiglio distrettuale di disciplina, anche con riguardo alla misura della sanzione comminata. In ordine a detta sanzione, in particolare, è stato fatto rilevare che l'illecito in questione costituisce violazione dei doveri generali di dignità, probità e decoro a cui non è collegata una sanzione specifica. Tuttavia, questa violazione è corredata da ulteriori fattispecie di illeciti disciplinari che sono stati contestati al ricorrente e per le quali l'incolpato è stato sanzionato. Si tratta della violazione dell'art. 53, comma 1 (Rapporti con i magistrati) codice deontologico forense, che prevede la possibilità di sanzionare, in forma aggravata, con la sospensione sino a 1 anno. A questo deve aggiungersi che al ricorrente avrebbe potuto essere contestata persino la violazione dell'art. 50, co. 1 e 5 (Dovere di verità) codice deontologico forense, che sanzionano l'utilizzo di prove, elementi di prova e documenti che l'avvocato sappia essere falsi (comma 1) ovvero le false dichiarazioni rese al magistrato sull'esistenza o inesistenza di fatti di cui abbia diretta conoscenza, suscettibili di essere assunti come presupposto di un provvedimento del magistrato (comma 5), sanzionati in via edittale con la sospensione da 1 a 3 anni. Inoltre, la sussistenza di precedenti sanzioni disciplinari, astrattamente rientranti in ipotesi sussumibili con quella in esame e in particolare quella precedentemente inflitta al ricorrente per la contestata responsabilità di aver formato un falso provvedimento di revoca di un pignoramento di crediti verso terzi, per ottenere il pagamento del compenso a titolo di onorario per la difesa di soggetti ammessi al patrocinio a spese dello Stato, ha reso plausibile e ha connotato come non esorbitante la valutazione svolta dal Consiglio distrettuale di disciplina ai della decisione della sanzione

 

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