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Con l'ordinanza n. 12058 depositata lo scorso 22 giugno, la VI sezione civile della Corte di Cassazione, chiamata a pronunciarsi rapporti economici tra i coniugi in conseguenza del divorzio, ha confermato la legittimità della decisione del giudice di merito che, a fronte dell'aumento stipendiale della moglie, aveva eliminato l'obbligo del marito di corrisponderle l'assegno divorzile.
Si è difatti precisato che "la natura e la funzione dei provvedimenti diretti a regolare i rapporti economici tra i coniugi in conseguenza del divorzio, così come quelli attinenti al regime di separazione, postulano la possibilità di adeguare l'ammontare del contributo al variare nel corso del giudizio delle loro condizioni patrimoniali e reddituali, e anche, eventualmente, di modularne la misura secondo diverse decorrenze riflettenti il verificarsi di dette variazioni (oltre che di disporne la modifica in un successivo giudizio di revisione), con la conseguenza che il giudice d'appello, nel rispetto del principio di disponibilità e di quello generale della domanda, è tenuto a considerare l'evoluzione delle condizioni delle parti verificatasi nelle more del giudizio.
Nel caso sottoposto all'attenzione della Cassazione, il Tribunale di Roma pronunciava la cessazione degli effetti civili del matrimonio di una coppia di coniugi, ponendo a carico del marito il pagamento, a favore della moglie, di un assegno divorzile di 600 Euro mensili, oltre che al versamento di un contributo per il canone di locazione dell'abitazione ove la donna risiedeva con le figlie.
La Corte di Appello di Roma, riformando la sentenza pronunciata dal Tribunale, eliminava l'assegno mensile di 600,00 Euro a favore della moglie, lasciando per il resto immutate le ulteriori statuizioni relativamente al mantenimento delle figlie ed al canone di locazione della casa coniugale.
A sostegno della decisione, i giudici di secondo grado evidenziavano come l'ex moglie, che già godeva di uno stipendio di 1.619,00 Euro mensili, aveva ricevuto un aumento, arrivando a percepire dai 1.800 ai 2.200 euro al mese.
Ricorrendo in Cassazione, la donna denunciava violazione e falsa applicazione dell'art. 5 della legge n. 898 del 1970, in quanto il giudice territoriale non aveva tenuto conto delle situazioni economiche delle parti e dell'enorme differenza tra le due situazioni reddituali, eliminando l'assegno sebbene il reddito del marito fosse circa 6.000,00 Euro al mese contro Euro 1.617,00 da lei percepite.
La Cassazione non condivide le difese formulate dalla ricorrente.
La Cassazione precisa che la natura e la funzione dei provvedimenti diretti a regolare i rapporti economici tra i coniugi in conseguenza del divorzio, così come quelli attinenti al regime di separazione, postulano la possibilità di adeguare l'ammontare del contributo al variare nel corso del giudizio delle loro condizioni patrimoniali e reddituali, e anche, eventualmente, di modularne la misura secondo diverse decorrenze riflettenti il verificarsi di dette variazioni (oltre che di disporne la modifica in un successivo giudizio di revisione), con la conseguenza che il giudice d'appello, nel rispetto del principio di disponibilità e di quello generale della domanda, è tenuto a considerare l'evoluzione delle condizioni delle parti verificatasi nelle more del giudizio.
Con specifico riferimento al caso di specie, gli Ermellini evidenziano come la decisione impugnata ha correttamente preso in considerazione la situazione economica delle parti, soprattutto alla luce dell'aumentata disponibilità reddituale dell'ex-moglie: alla luce di tanto, ha ritenuto congruo eliminare l'assegno di mantenimento in favore della stessa, con decisione incensurabile in sede di legittimità in quanto correttamente motivata.
Da ultimo, in ordine al pagamento, a carico del marito, del canone di locazione della casa coniugale pur essendo la medesima stata assegnata alla moglie, la Corte specifica che è consentito al giudice della separazione e del divorzio porre a carico del coniuge con maggiori disponibilità, ad integrazione del contributo in favore della prole, l'onere del pagamento del canone di locazione dell'immobile adibito a casa familiare.
Compiute queste precisazioni, la Cassazione rigetta il ricorso.
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