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Assegni scoperti, SC: se accettati, è escluso il nesso causale tra responsabilità delle banche e danno

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Colui che negozia assegni scoperti, anche se le due banche coinvolte (ossia quella di cui è correntista e quella trattaria) hanno assunto condotte negligenti nella vicenda, non può ritenersi vittima di tali condotte e ottenere il risarcimento dei danni eventualmente subiti.

Questo è quanto ha statuito la Corte di cassazione con sentenza n. 10814 del 18 aprile 2019.

Ma vediamo nel dettaglio la questione sottoposta all'esame dei Giudici di legittimità.

I fatti di causa.

Il ricorrente è un imprenditore che nell'ambito della sua attività commerciale ha accettato assegni da un cliente, poi risultati scoperti. In buona sostanza, è accaduto che:

  • il ricorrente ha versato tali titoli presso la banca di cui è correntista;
  • quest'ultima, senza verificare se detti assegni fossero coperti, ha provveduto a liquidarli immediatamente;
  • successivamente all'incasso, il cliente ha informato il ricorrente dell'assenza di copertura degli assegni;
  • l'imprenditore, per salvaguardare i rapporti commerciali con il predetto cliente, ha deciso di rinnovare gli assegni, portati, di seguito, all'incasso e riscossi nell'immediatezza;
  • dopo altre due operazioni di analoga natura, decorsi quarantacinque giorni dal primo assegno impagato, la banca trattaria ha consegnato alla banca di cui il ricorrente è correntista «un gruppo di assegni insoluti e non protestati (o per irregolarità della girata, o con la dicitura "fuori termine per il protesto")»;
  • quest'ultimo istituto di credito, ha ingiunto all'imprenditore «il pagamento di euro 1.773.022.377, iscrivendo ipoteca sui beni delle società amministrate dal medesimo (poi dichiarate fallite [..]), oltre che su quelli personali dei fideiussori».

Alla luce di quanto sin qui esposto, pertanto, il ricorrente ha agito in giudizio per ottenere il risarcimento dei danni subiti, ritenendo che i direttori di entrambe le banche hanno assunto, nella vicenda, condotte negligenti per non aver, una (quella di cui è correntista), verificato la copertura degli assegni prima di liquidarli, l'altra (quella trattaria) per aver omesso di comunicare – entro il termine previsto - il mancato pagamento degli assegni.

La domanda del ricorrente, in primo grado, è stata rigettata. In appello, il suo gravame è stato accolto solo in punto di spese di lite.

Così il caso è giunto dinanzi alla Corte di cassazione.

La decisione della SC.

I Giudici di legittimità condividono la decisione emessa dai magistrati dei gradi precedenti.

In buona sostanza, secondo la Suprema Corte, la sentenza impugnata non presenta alcun vizio motivazionale, ben avendo ritenuto insussistente il nesso causale della responsabilità delle banche nella produzione del danno lamentato dall'imprenditore. In particolare, pur essendo stata riconosciuta la condotta negligente dei direttori dei due istituiti di credito, non è stata trascurato di considerare il comportamento del ricorrente. 

Quest'ultimo, ad avviso dei giudici dei gradi precedenti, per il fatto di aver negoziato e accettato assegni scoperti, ha assunto una condotta che, sebbene di primo acchito potrebbe configurarsi come una sorta di compartecipazione e di complicità con le banche, in realtà integra una negligenza grave per comportamento «sconsiderato».

Questo, pertanto, secondo la decisione impugnata, non può identificare l'imprenditore con una parte danneggiata.

In punto, pertanto, ad avviso, della Corte di Cassazione, la sentenza è corretta e non è assolutamente contraddittoria o imprescrutabile, perché il ricorrente, come emerso nel corso dell'istruttoria condotta nel giudizio di merito, è da ritenere l'artefice del danno subito.

Questo iter logico-giuridico, ben motivato, non può essere sindacabile in sede di legittimità, perché consentire ciò equivarrebbe a permettere un non più ammissibile controllo sulla "sufficienza" della motivazione del giudice d'appello. «Lo scrutinio della Corte di cassazione, è, [...] ipotizzabile solo in caso di motivazione "meramente apparente", […] che [...], non renda [...] percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento (Cass. Sez. Un., n. 22232/2016). Circostanza, quest'ultima, non verificatasi nella fattispecie in esame.

Per la stessa ragione, ossia per il fatto che la sentenza è correttamente motivata, non è possibile neanche sindacare sul perché i giudici d'appello non hanno optato, nella questione in oggetto, per una decisione di concorsualità ai sensi degli artt. 2056 e 1227 cod. civ., invocata dal ricorrente.

Alla luce delle considerazioni sin qui svolte, pertanto, i Giudici di legittimità hanno rigettato il ricorso dell'imprenditore, confermando il provvedimento impugnato. 

 

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