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Assegni privi di copertura emessi dall'avvocato: illecito comune che rientra nell'alveo disciplinare

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L'inadempimento derivante dall'emissione di assegni privi di copertura da parte di un avvocato nei confronti del cliente, pur avendo i caratteri di un illecito comune, è [...] da ricondurre nell'alveo disciplinare perché idoneo per modalità e gravità a compromettere il rapporto di fiducia con il difensore per la stretta connessione con l'assolvimento dei propri doveri professionali.

Questo ha statuito la Corte di Cassazione con sentenza n. 37550 del 30 novembre 2021.

Ma vediamo il caso sottoposto all'esame dei Giudici di legittimità.

I fatti di causa

Il ricorrente è stato destinatario della sanzione disciplinare della sospensione dall'esercizio della professione forense per dieci mesi per:

  • la violazione degli artt. 3 e 51 della I. 31 dicembre 2012 n. 247, in relazione ai canoni di cui all'art. 26 terzo comma del Codice Deontologico, per non aver adempiuto al mandato conferitogli dal cliente;
  • la violazione delle predette disposizioni, in relazione all'art. 9 del Codice Deontologico, per avere indotto in errore la parte assistita in merito all'avvenuta conclusione di una transazione con la società controparte avente ad oggetto l'autovettura di sua proprietà, consegnando al medesimo dapprima una scrittura privata apocrifa e, successivamente, con l'offerta di anticipare la somma oggetto di risarcimento, due propri assegni bancari a favore del cliente, risultati poi inesigibili per mancanza di fondi, oltre che per avere falsamente formato e consegnato al cliente una scrittura privata di transazione.

Il provvedimento disciplinare è stato impugnato dal ricorrente dinanzi al Consiglio Nazionale Forense che ha confermato la sanzione in esame, ritenendo il professionista responsabile dei predetti fatti e congrua la sanzione inflitta, data l'estrema gravità delle condotte anche in considerazione del loro rilievo penale.

Il caso è giunto dinanzi alla Corte d Cassazione.

Ripercorriamo l'iter logico-giuridico seguito da quest'ultima autorità giudiziaria.

La decisione della SC

Innanzitutto i Giudici di legittimità richiamano i principi generali che, in base alla giurisprudenza (ex multis Cass. S.U. 04 luglio 2018 n. 17534), informano il nuovo codice deontologico forense. Secondo questi principi in detto codice, pur essendo presente un apparato sanzionatorio ispirato alla tendenziale tipizzazione delle sanzioni, tuttavia il principio di stretta tipicità dell'illecito, proprio del diritto penale, non trova per esso applicazione. 

E ciò in considerazione del fatto che nella materia disciplinare forense non vi è un'elencazione tassativa dei comportamenti vietati. In questa materia, infatti, sussiste solo un elenco dei doveri fondamentali, tra cui segnatamente quello di esercitare la professione forense "con indipendenza, lealtà, probità, dignità, decoro, diligenza e competenza, tenendo conto del rilievo sociale e della difesa e rispettando i principi della corretta e leale concorrenza" di cui all'art. 9 già artt. 5 e 6 del previgente codice deontologico forense. La disposizione innanzi citata (art. 9) è una "norma di chiusura" che consente attraverso il sintagma «per quanto possibile», previsto nell'art. 3, comma 3, della legge n. 247 del 2012, di contestare l'illecito anche solo sulla sua base, onde evitare che la mancata "descrizione" di uno o più comportamenti e della relativa sanzione generi immunità (Cass. SU 29 dicembre 2017, n. 31227). Ciò premesso, tornando al caso di specie, il ricorrente ha posto in essere una condotta avente ad oggetto un inadempimento del mandato professionale per aver emesso assegni privi di copertura, dopo aver tratto in inganno, tra l'altro, il cliente. Tale condotta, pur costituendo un illecito comune, rientra nell'ambito dell'illecito disciplinare perché la sua gravità e le modalità con cui è stata posta in essere sono idonee a compromettere il rapporto di fiducia con il difensore per la stretta connessione con l'assolvimento dei propri doveri professionali

Alla luce di tanto e dei principi su richiamati, dunque, ad avviso della Corte di Cassazione, la decisione del Consiglio Nazionale Forense è stata corretta. Con l'ovvia conseguenza che il ricorso è stato ritenuto infondato e, per tal verso, è stato rigettato.  

 

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