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Separazione, Cassazione: casa coniugale va sempre assegnata al genitore collocatario, anche se non proprietario

Con la sentenza n. 3331 del 2016 la Corte di Cassazione, Sezione Civile, ha posto in essere un importante inversione di rotta rispetto al passato in tema di assegnazione della casa familiare in caso di separazione o divorzio.
Giurisprudenza costante, infatti, si era ripetutamente espressa sostenendo che la casa in cui la coppia era vissuta non poteva essere sottratta al proprietario, se non in via del tutto eccezionale, sempre e comunque ai fini della realizzazione del superiore interesse del minore.
La ratio giustificatrice stava nel non creare, anche, questo tipo di distacco materiale ed affettivo al minore.
Ossia la Suprema Corte si era costantemente espressa affermando che “ l´assegnazione della casa familiare al coniuge affidatario risponde all´esigenza di tutela degli interessi dei figli, con particolare riferimento alla conservazione del loro ´habitat´ domestico inteso come centro della vita e degli affetti dei medesimi, con la conseguenza che detta assegnazione non ha più ragion d´essere soltanto se, per vicende sopravvenute, la casa non sia più idonea a svolgere tale essenziale funzione".
Viceversa,nel caso che ha portato gli Ermellini a questa inversione di rotta, rispetto alle precedenti pronunce, sembra essere tutelato più l’interesse della madre, che per motivi di salute subito dopo il parto si era dovuta allontanare dal figlio, che quello precipuo del figlio.
Di fatto la casa non era il vero e proprio “habitat”, o nucleo affettivo del figlio, dato che era stata vissuta dai coniugi solo prima della nascita dello stesso.
La Suprema Corte, ha adottato un criterio chiaramente “adultocentrico”, stabilendo l’assegnazione della casa al genitore collocatario (divenuta la madre, in quanto genitore più disponibile a creare un equilibrio nella famiglia), seppure luogo quasi sconosciuto per il figlio, solo in virtù della destinazione che gli era stata data prima della nascita del figlio dai genitori.
In buona sostanza la destinazione a casa familiare deve ritenersi, a parere della Suprema Corte, univocamente impressa all´immobile dalle parti non solo in astratto (con l´acquisto in comunione) ma anche in concreto per mezzo della loro convivenza. Per queste ragioni la fruizione dell´abitazione da parte del minore con il genitore collocatario è stata, fondatamente, ritenuta la scelta più coerente con il suo prioritario interesse secondo il criterio dettato dalla norma.
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