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Con la pronuncia n. 22219 dello scorso 12 settembre, la I sezione civile della Corte di Cassazione – chiamata a pronunciarsi sulle modalità attraverso le quali si esercita l'affidamento condiviso dei figli in caso di separazione – ha statuito che "la regola dell'affidamento condiviso dei figli ad entrambi i genitori, prevista in precedenza dall'art. 155 c.c. con riferimento alla separazione personale dei coniugi e ora dall'art. 337-ter c.c. per tutti i procedimenti indicati dall'art. 337-bis c.c., non esclude che il minore sia collocato presso uno dei genitori e che sia stabilito uno specifico regime di visita con l'altro genitore".
Sul merito della vicenda si era pronunciato inizialmente il Tribunale di Roma il quale, dichiarata la separazione personale tra i coniugi, disponeva l'affidamento condiviso ad entrambi i genitori della figlia minore con collocamento della stessa presso la madre, cui veniva assegnata l'abitazione familiare. Si stabilivano, quindi, le modalità e i tempi delle frequentazioni fra padre e figlia e si determinava la misura del contributo paterno al mantenimento della discendente.
La Corte d'Appello di Roma, apportava alcune modifiche e precisazioni alle modalità di frequentazione fra padre e figlia minore e confermava contributo dovuto dal padre per il mantenimento della figlia.
Contro siffatta sentenza, proponeva ricorso per Cassazione il padre lamentandosi perché il collegio non aveva apportato le modifiche del regime di visita della figlia cosi come da lui formulate e, in punto di diritto, sosteneva che entrambi i giudici di merito avevano applicato il regime di affido condiviso come se fosse un affido esclusivo, prevedendo la possibilità per la minore di vedere il padre per un solo giorno a settimana e ledendo così il suo diritto a ricevere cure, educazione e istruzione con paritaria presenza di entrambi i genitori.
La Cassazione non condivide i rilievi sollevati dal ricorrente.
Gli Ermellini evidenziano che la regola dell'affidamento condiviso dei figli ad entrambi i genitori, non esclude che il minore sia collocato presso uno dei genitori e che sia stabilito uno specifico regime di visita con l'altro genitore (Cass. n. 18131/2013).
Difatti, lo stesso art. 337-ter – nel prevedere che il figlio minore abbia il diritto di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno dei genitori, ricevendo cura, educazione, istruzione e assistenza morale da entrambi – prescrive al giudice di adottare tutti i provvedimenti relativi alla prole con esclusivo riferimento all'interesse morale e materiale di essa, valutando prioritariamente la possibilità che i figli minori restino affidati a entrambi i genitori e così determinando i tempi e le modalità della loro presenza presso ciascun genitore.
All'interno del quadro normativo la cui cornice è delineata dallo stesso art. 337 ter, la Suprema Corte specifica che attiene ai poteri del giudice di merito fornire una concreta regolazione del regime di visita secondo modalità che non sono sindacabili, nelle loro specifiche articolazioni, in sede di giudizio di legittimità, ove invece è possibile denunciare che il giudice di merito abbia provveduto a disciplinare le frequentazioni dei genitori dichiarando di ispirarsi a criteri diversi da quello fondamentale, previsto dall'art. 337-ter c.c., dell'esclusivo interesse morale e materiale dei figli.
Nel caso di specie la Cassazione sottolinea come la sentenza impugnata si sia correttamente riportata a tali principi, prendendo in considerazione l'esclusivo interesse della ragazza: la Corte territoriale, difatti, dopo aver attentamente analizzato le buone condizioni della minore, ha ritenuto opportuno salvaguardarla dall'esasperata conflittualità tra i genitori provvedendo a stabilire in maniera rigida tempi e modalità di frequentazione fra il padre e la discendente, per sedare il continuo contrasto esistente fra i genitori ed evitare che la bambina fosse costretta a difendersi dai loro conflitti.
Siffatta valutazione, insindacabile dal giudice di legittimità perché riservata al merito dei giudici di prima istanza e di appello, determina il rigetto del motivo di ricorso, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese di giudizio.
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