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Addebito, Cassazione: “Sufficiente il semplice sospetto di infedeltà”

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Con l'ordinanza n. 1136 dello scorso 20 gennaio in tema di adulterio e addebito della separazione, la VI sezione civile della Corte di Cassazione ha confermato l'addebito di una separazione a un marito i cui frequenti allontanamenti dalla casa coniugale avevano ingenerato nella moglie plausibili sospetti di infedeltà.

Si è difatti precisato che la relazione con estranei che dia luogo a plausibili sospetti d'infedeltà rende addebitabile la separazione, quando comporti offesa alla dignità ed all'onore del coniuge, anche se non si sostanzi in adulterio.

Sul merito della questione aveva statuito, inizialmente, il Tribunale di Tivoli che, pronunciandosi sulla separazione personale dei coniugi, addebitava la stessa al marito, ponendo a suo carico l'obbligo di corrispondere all'ex moglie un assegno mensile di Euro 800,00, annualmente rivalutabile.

La Corte d'appello di Roma, rigettando il gravame del marito, elevava a Euro 1.200,00 l'assegno in favore della moglie, confermando per il resto le statuizioni relative all'addebito.

Difatti, nel corso dell'istruttoria era emerso che l'uomo, oltre ad essersi allontanato dalla casa coniugale, così violando all'obbligo di collaborazione e di concordare l'indirizzo della vita familiare, si vedeva spesso con un'altra donna, così da ingenerare nella moglie dei plausibili sospetti di infedeltà divenuti poi causa della crisi matrimoniale.

Il marito, ricorrendo in Cassazione, denunciava omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia quanto alla dichiarazione di addebito, eccependo vizio di motivazione dell'art. 151 c.c.. 

 A tal riguardo, il ricorrente, rilevava come la Corte territoriale avesse errato nella pronuncia di addebito della separazione, omettendo di considerare che l'essenza della frattura del rapporto di coniugio risiedeva nel rifiuto opposto dalla moglie di continuare a seguirlo e sostenerlo e non nel, presunto e mai provato, adulterio.

In particolare l'uomo, nel ribadire come la fine del matrimonio fosse da ricondursi alle reciproche difficoltà risalenti nel tempo, che lo avevano portato ad uno stato di distacco affettivo, sottolineava l'errore compiuto dai giudici distrettuali, per aver orientato la decisione sull'addebito mediante una sopravvalutazione di elementi indiziari – quali foto e intestazione di biglietti aerei – riferiti alla relazione con altra donna.

La Cassazione non condivide le tesi difensive del ricorrente.

Sul punto, gli Ermellini considerano inammissibile il motivo prospettato in quanto lo stesso – risolvendosi nella sollecitazione di un nuovo accertamento di merito sui presupposti della pronuncia di addebito – impone l'esecuzione di un nuovo accertamento di fatto precluso in sede di legittimità.

Difatti, l'apprezzamento circa la responsabilità di un coniuge nel determinarsi della intollerabilità della convivenza in ragione della violazione dei doveri matrimoniali è istituzionalmente riservato al giudice di merito e non può essere censurato in sede di legittimità in presenza di motivazione congrua e logica.

Con specifico riferimento al caso di specie, con la propria censura il marito tende a conseguire proprio un nuovo esame sul merito, laddove, nella ricostruzione delle ragioni che hanno comportato l'intollerabilità della prosecuzione della convivenza, lamenta la sopravvalutazione di taluni elementi indiziari e la mancata valutazione di altri elementi dedotti.

Conseguentemente, il ricorrente non può rimettere in discussione, contrapponendone uno difforme, l'apprezzamento dei fatti operato dai giudici del merito, tratto dall'analisi degli elementi di valutazione disponibili, non essendo, appunto, consentito al giudice di legittimità di riesaminare e valutare il merito della causa.

Sul punto, la Cassazione specifica che la pronuncia impugnata, con motivazione logica e congrua, si è allineata alla consolidata giurisprudenza secondo cui la relazione con estranei che dia luogo a plausibili sospetti d'infedeltà rende addebitabile la separazione, quando comporti offesa alla dignità ed all'onore del coniuge, anche se non si sostanzi in adulterio; in seconda istanza, la decisione del marito di trasferirsi lasciando la casa familiare, è stata causa diretta della violazione dei doveri coniugali, non essendo la stessa conforme all'obbligo di collaborazione e a quello concordare insieme l'indirizzo della vita familiare.

In conclusione la Cassazione dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità e al versamento dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso. 

 

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