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Acquisti una casa con i soldi di papà? Rischi un accertamento se non ne dimostri la provenienza!

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Una ordinanza sicuramente importante, che, se pure conferma principi già predicati nella giurisprudenza di legittimità, è passata in sordina, e passata in sordina, probabilmente perché depositata proprio ad inizio del 2019. Eppure l'ordinanza 149 del 7 gennaio 2019 non può esser certo derubricata all'ordinario, se non altro per gli effetti che, indirettamente, la citata pronuncia potrebbe sortire in materia di accertamenti fiscali sul maggior reddito dei contribuenti a seguito delle comunicazioni alle Entrate degli atti di trasferimento immobiliare tra privati. Infatti, nel caso in questione, definito dalla Suprema corte, che ha accolto l'appello del Fisco nei confronti di una sentenza del giudice tributario di secondo grado che, a propria volta, aveva accolto il gravame di un contribuente contro la decisione del primo che aveva confermato la legittimità di un accertamento per maggior reddito disposto nei suoi confronti a seguito dell'acquisto di un immobile, la Suprema Corte di Cassazione ha ritenuto che non fosse adeguatamente provato, in quanto non dimostrato documentalmente ed in maniera certa, che il denaro necessario per l'acquisto e per il mantenimento dell' immobile de quo fosse pervenuto al compratore per atto di liberalità di propri familiari, ed in particolare della madre con lui convivente, stante che non era stata offerta tale prova, né essa era deducibile per il semplice fatto, peraltro incontroverso, della convivenza.

È sempre necessario, ha in particolare asserito il collegio, giustificare la capacità reddituale anche in merito alle spese di mantenimento dell'immobile, non risultando sufficiente la sommaria affermazione che le spese sono state sostenute per intero dal genitore, seppur comproprietario e convivente, trattandosi di giustificazione troppo generica e non documentabile.

Si tratta, pertanto, di una pronuncia estremamente importante, che oltre a scoraggiare comportamenti imprudenti da parte dei contribuenti, nel procacciarsi pur lecitamente le somme di denaro necessarie ad acquistare e a mantenere immobili, è in grado di suggerire efficaci strategie difensive nel caso in cui da tali atti il Fisco ritenga di muovere un accertamento sull'acquirente.
Riportiamo, in proposito, uno stralcio dell'ordinanza citata della Corte di cassazione n. 149 del 7 gennaio 2019.

"La norma chiede qualcosa di più della mera prova della disponibilità di ulteriori redditi (esenti ovvero soggetti a ritenute alla fonte), e, pur non prevedendo esplicitamente la prova che detti ulteriori redditi sono stati utilizzati per coprire le spese contestate, chiede tuttavia
espressamente una prova documentale su circostanze sintomatiche del fatto che ciò sia accaduto (o sia potuto
accadere). In tal senso va letto lo specifico riferimento alla
prova (risultante da idonea documentazione) della entità di tali
eventuali ulteriori redditi e della "durata" del relativo possesso, previsione che ha l'indubbia finalità di ancorare a fatti oggettivi (di tipo quantitativo e temporale) la disponibilità di detti redditi per consentire la riferibilità della maggiore capacità contributiva accertata con metodo sintetico in capo al contribuente proprio a tali ulteriori redditi, escludendo quindi che i suddetti siano stati utilizzati per finalità non considerate ai fini dell'accertamento sintetico, quali, ad esempio, un ulteriore investimento finanziario, perché in tal caso essi non
sarebbero ovviamente utili a giustificare le spese e/o il tenore di vita accertato, i quali dovrebbero' pertanto ascriversi a
redditi non dichiarati (Sez. 6-5, n. 7389 del 23/03/2018; Sez. 5, n. 1510 del 20/01/2017)".

 

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