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Accesso all'esame da cassazionista, no all'esclusione dell'avvocato multidisciplinare

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Con sentenza n. 1085 del 29 gennaio 2019, il Tar Lazio si è occupato della questione relativa ai requisiti di accesso al corso di formazione propedeutico per l'esame da cassazionista. In particolare il caso verte su quei requisiti diretti ad attestare l'effettività nell'esercizio della professione di avvocato e i Giudici amministrativi sono stati interpellati per chiarire se tali requisiti rispondono ai principi di ragionevolezza, proporzionalità e non discriminazione. E ciò in considerazione del fatto che, nella specie, è stata lamentata una disparità di trattamento tra avvocato multidisciplinare e avvocato specializzato. 

Ma vediamo nel dettaglio la fattispecie sottoposta all'attenzione del Tar. 

I fatti di causa. 

Il ricorrente, iscritto all'albo degli avvocati ed esercente la libera professione, ha chiesto di partecipare alla prova di accesso al corso di formazione propedeutico per l'esame di ammissione all'albo speciale delle giurisdizioni superiori (articolo 22 della legge n. 247 del 2012). È accaduto che la sua domanda è stata rigettata in quanto ritenuta privi dei requisiti. Per tal verso, il ricorrente ha impugnato tale rigetto, il bando di partecipazione al predetto corso e il regolamento del Cnf (Consiglio nazionale forense). Il caso è giunto dinanzi al Tar. 

La decisione dei Giudici amministrativi. 

Innanzitutto appare opportuno richiamare la normativa relativa ai requisiti d'accesso al corso in questione. In particolare, l'articolo 4 del regolamento del Cnf, n.1 del 20 novembre 2015, stabilisce che uno dei requisiti di ammissione al su citato corso è l'aver svolto la professione d'avvocato e quindi, negli ultimi quattro anni, aver patrocinato a:

  • almeno dieci udienze dinanzi alla Corte d'Appello civile; 
  • o in alternativa ad almeno venti udienze dinanzi alla Corte d'Appello penale; 
  • o in alternativa ad almeno venti udienze dinanzi alle giurisdizioni amministrative, tributarie e contabili. 

Da questa disposizione si denota «una certa spinta verso la settorializzazione (o specializzazione) delle competenze sin dai primi anni della professione». Tuttavia, tale norma va coordinata con l'articolo 22, comma 2, della legge n. 247 del 2012 (Nuova disciplina ordinamento professione forense), secondo cui il Cnf può «prevedere determinati criteri di accesso all'esame per il patrocinio davanti alle giurisdizioni superiori (c.d. esame da cassazionista)»; criteri che devono, comunque, rispondere ai principi di ragionevolezza, proporzionalità e non discriminazione. Proprio con riferimento a tale ultimo canone, si fa rilevare che la legge n. 247 su citata da un lato, riconosce la possibilità per gli avvocati di specializzarsi (art. 9, comma 1), dall'altro, stabilisce che «il conseguimento del titolo di specialista non comporta riserva di attività professionale» (articolo 9, comma 7). In questo modo, essa riporta la piena parità di trattamento tra le prestazioni professionali rese da avvocati generalisti e quelle rese da avvocati specialisti. Una parità che non deve essere in alcun modo violata dal momento che «la specializzazione deve [...] costituire una opportunità per il cliente (per casi particolarmente complessi) e non un vincolo per il libero professionista». Con l'ovvia conseguenza che un regolamento del Cnf, come quello in esame, che finisce per dare preminenza ad un determinato percorso professionale, si pone in contrasto con il principio di parità di trattamento e di non discriminazione. Infatti, nel caso di specie, prevedere come requisito d'accesso al corso di formazione propedeutico per l'esame di ammissione all'albo speciale delle giurisdizioni superiori, l'aver patrocinato a un certo numero di udienze dinanzi ad una determinata sezione dell'autorità giudiziaria, privilegiando la specializzazione, fa venir meno l'equilibrio fissato a livello legislativo tra avvocato generalista e avvocato specialista e si pone in contrasto, appunto, con il principio di non discriminazione.  

Ma vi è più. 

L'articolo 4 del regolamento del Cnf su enunciato appare in violazione anche del principio di ragionevolezza in quanto finisce per sminuire l'importanza della «competenza ed esperienza multidisciplinare che, soprattutto durante i primi anni della professione forense, costituiscono fattori essenziali per una più completa formazione dell'avvocato». Una multidisciplinarità, questa, che diventa fondamentale per gli avvocati che decidono di svolgere la professione in forma individuale e «si rivela strettamente funzionale a garantire, per il singolo cittadino che si rivolge a questi professionisti del diritto, la "effettività della tutela dei diritti" [...]». In forza di quanto sin qui detto, pertanto, ad avviso del Tar, appare evidente che il regolamento del Cnf è illegittimo. Un'illegittimità che risulta ancora più palese se si pensa che se ci si attenesse alla disposizione regolamentare in questione, l'avvocato multidisciplinare che ha patrocinato, negli ultimi quattro anni, a 50 cause dinanzi a diverse sezioni delle autorità giudiziarie finirebbe per essere svantaggiato, ad esempio, rispetto al professionista che ha patrocinato a soltanto dieci cause dinanzi alla Corte di Appello civile. Un paradosso, questo, da cui discende un'evidente sproporzione. Orbene, tornando al caso di in esame, il ricorrente ha patrocinato, negli ultimi quattro anni, a sedici giudizi dinanzi al Tar e alla Ctr; a cinque dinanzi alla Corte di Appello civile; a uno dinanzi alla Corte di Appello penale; a uno dinanzi alla Cedu. È evidente che il ricorrente è un avvocato multidisciplinare e la sua esclusione dalla prova di accesso in oggetto, a causa della sua multidisciplinarità, alla luce delle considerazioni sin qui svolte, costituisce un atto discriminatorio, irragionevole e sproporzionato. Per tal verso, infatti, i Giudici amministrativi hanno accolto il ricorso, con conseguente annullamento della richiamata norma regolamentare, della connessa disposizione del bando e della nota di rigetto della domanda di partecipazione del ricorrente. 

 

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