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25 anni dopo il "metodo Falcone" è utile non soltanto ai magistrati

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scritto da Renato Balduzzi*
 
Più volte in questi giorni, dopo la lettura dei documenti concernenti Giovanni Falcone, ora liberamente consultabili in rete, mi sono chiesto come il grande magistrato siciliano abbia percepito, nell´ultimo periodo della sua vita, il Csm: come l´organo posto a garanzia dell´autonomia e dell´indipendenza della magistratura, ovvero come una struttura dalla quale guardarsi.
 
Nelle occasioni in cui venne convocato al Csm, Falcone si trovò di fronte a un consesso che faticò non poco (salvo lodevoli e meritorie eccezioni) a cogliere il nucleo del suo apporto al contrasto del fenomeno mafioso.
 
Si trattava di una strategia articolata su tre essenziali assunti di base: a) Cosa nostra è un fenomeno unitario e coordinato, dunque parimenti unitaria e coordinata deve essere l´azione di contrasto; b) le mafie intrecciano legami con altre organizzazioni criminali, occulte e non, italiane e non, dunque chi ha il compito di combatterle deve sapersi muovere a livello internazionale; c) avviare processi penali senza adeguati riscontri probatori contrasta con precisi disposti costituzionali e nuoce alla credibilità della magistratura e dello Stato, dunque l´iniziativa penale va calibrata attentamente, e il senso di responsabilità del magistrato deve sempre prevalere sulle soggettive preferenze etico-politiche.
 
Assunti che mi paiono ancora utili e da essi si possono ricavare corollari che interessano ogni cittadino consapevole e attivo.
 
In primo luogo, le istituzioni e le persone che tempo per tempo le rappresentano, a qualunque livello, non devono mai essere (o essere percepite) come distratte rispetto ai fenomeni mafiosi. La forza delle istituzioni sta nella continuità e nell´autorevolezza dell´impegno. Secondo, la verità giudiziaria (che talvolta, specie nei processi di mafia, è difficile da raggiungere) non va mai negata, al più può venire integrata: il processo sulla strage di Capaci ha dato alcune risposte inequivoche, altre possono e devono essere cercate. Senza teoremi astratti, ma anche senza lasciar cadere nulla. Terzo, nella confusione delle informazioni, è decisiva la capacità di stare ai fatti e di non indulgere a ricostruzioni addomesticate.
 
Pensiamo all´immagine, rispolverata in questi giorni, di Falcone sostenitore della separazione ordinamentale tra giudice e pubblico ministero, quando, com´è noto, vedeva bene la specializzazione dei magistrati requirenti, oltre che un certo grado di compattezza interna agli uffici del pm, ma dentro l´orizzonte costituzionale.
 
Quel che possiamo chiamare, con approssimazione e sapendo che all´interessato l´espressione non piaceva molto, "metodo Falcone", risulta ancora utile e non solo ai magistrati.
*pubblicato su Avvenire 25.5.2017

 

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