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Vincenzo Zeno-Zencovich: i bizzarri casi dell'avvocato Perelà

Vincenzo Zeno-Zencovich: i bizzarri casi dell'avvocato Perelà

 Vincenzo Zeno Zencovich ( Roma, 1954) esercita la professione di avvocato a Roma. Ordinario di diritto privato comparato nell'Università di Roma Tre, è autore di numerose monografie e manuali in materia di responsabilità civile e penale. E' altresì autore del libro bizzarri casi dell'avvocato Perelà, edito da Giuffrè nel 1999, nella collana "Diritto e rovescio".
Da " I bizzarri casi dell'avvocato Perelà"
Professori ed altri Mostri: 
Di Pietro e il professore
Sarà stato uno sgradevole contrasto con un collega in Consiglio di Facoltà, sara stata la cena-semifredda e troppo pesante- lasciatagli dalla moglie che era andata da un'amica a giocare a canasta ("sempre meglio che vedere il tuo muso lungo dopo le riunioni con i tuoi colleghi", gli aveva replicato anni prima ad una sua osservazione sulla insulsaggine del gioco), comunque sia il professore Ottimo (proprio così: nomen Omen) quella sera si coricò con un senso di inquietudine e fece fatica a prendere sonno. E quando finalmente gli riuscì ed il suo inconscio cominciava a rilassarsi, sentì un lungo e prolungato squillo alla porta. Si disse che era un sogno; chi diavolo mai poteva bussare ad una casa tranquilla e onesta a quell'ora di notte? Ma il campanello si fece più insistente. Maledicendo la moglie che dormiva beata (con i tappi nelle orecchie - "perché russi come un cammello" era giunta perfino a dirgli in una delle sue giornate più perfide), ed i figli se ne erano andati a passare una "settimana bianca" in montagna, a casaccio infilo le pantofole e barcollante raggiunse l'uscio. "Chi è?" disse con la voce altamente infastidita di chi è stato svegliato nel cuore della notte e cerca qualcuno con cui prendersela. "Polizia giudiziaria. Apra!". L'effetto sul prof. Ottimo fu come se gli avessero tirato un secchio d'acqua fredda. Tolse il paletto e lasciando la catenella di sicurezza aprì la porta qual tanto che bastava per scorgere l'inconfondibile divisa della Benemerita, o meglio tre divise. "Cosa volete?" biascicò. "È lei il prof. Marcello Ottimo?" Gli chiese il più anziano dei tre. "Sì, sono io, cosa succede?".   "Si vesta e venga con noi, abbiamo un ordine di custodia cautelare nei suoi confronti". Il prof. Ottimo rimase pietrifìcato. Poi riacquistando un po' di reattività rispose: "Guardi deve esserci un equivoco: io sono l'avv. Marcello Ottimo, sono professore ordinario di diritto all'Università. Siete sicuri di non cercare qualcun altro?". Ma mentre frugava nella sua mente per ricordarsi cosa prevedesse il codice di procedura penale del 1988 in casi omonimia (la scienza e la pratica criminale non rientravano nelle sue pur veste nozioni giuridiche), l`ufficiale di P.G. gli passò per lo spiraglio un foglio intestato "Procura della Repubblica presso il Tribunale di Milano" sul quale era riportato il suo nome, il suo cognome, la paternità, l'indirizzo, tutti esattissimi, seguiti da una sfilza impressionante di artt., commi, cpv., tratti dal c.p. e dal c.p.p.
Ma quel che lo folgorò fu l'ultima riga: "Il Sostituto Procuratore dr. Antonio Di Pietro" con sotto uno scarabocchio. Se ci fosse stato scritto "Belzebù" o "Dracula" l'effetto sarebbe stato meno terrificante. Da un lato già si vedeva sbattuto in prima pagina accanto a Craxi e a qualche decina di politici e portaborse, e si immaginava le fin troppo facili ironie sul suo nome ("il pessimo Ottimo"); dall'altro si indignava: che c'entrava lui con Tangentopoli? La sua "area" politica era quella della maggioranza; ma non aveva mai ricevuto - o anche cercato - prebende e favori; non aveva ricoperto incarichi pubblici; non aveva prestato la sua opera professionale per lucrose consulenze o enti statali o parastatali ("se hanno arrestato me - ebbe un attimo di segreta soddisfazione - almeno avranno messo al gabbio quel farabutto di...", un suo collega le cui parcelle miliardarie erano oggetto di invidiosi pettegolezzi); non conosceva nessuno delle centinaia di arrestati ed inquisiti. Tangenti non ne aveva mai prese; nessuno gliele aveva offerte (e perché mai avrebbero dovuto?); viveva del suo onesto lavoro professionale mentre lo stipendio universitario, modesto com'era, serviva solo a pagare il mutuo per una casa acquistata per i figli. Come tanti si era indignato leggendo i giornali per le ruberie perpetrate per anni: e non aveva provato alcuna commiserazione per i tangentisti scoperti ed esposti al pubblico disprezzo. Che c'entrava lui con tutto ciò? Ma ebbe poco tempo per dibattersi fra questi opposti sentimenti; infilati un pantalone ed un maglione, le scarpe ed un cappotto già si trovava sull'Alfa dei CC che nelle strade deserte lo portava verso il portone di quel carcere che aveva visto tante volte aprirsi e chiudersi in televisione. "Almeno non ci sarà nessuno" pensò, ma si sbagliava; erano là le iene - quelli i cui pezzi aveva letto con piacere sui giornali più "moralisti". Per colmo della sfortuna i battenti non si aprirono subito e per un minuto buono fu bersagliato dai flash e dai riflettori delle telecamere, Non gli fu chiaro perché, dopo l'ingresso in carcere, mancarono tutte le formalità che si attendeva. Si trovò in una stanza, sommariamente arredata, che sapeva di fumo e di umanità sudaticcia. Prima che potesse considerare i particolari si ritrovò faccia a faccia con il dr. Di Pietro il quale accompagnato da un collaboratore gli fece cenno: "Si sieda, professore".
Il prof. Ottimo, pur nella confusione mentale in cui si trovava, con un notevole sforzo riuscì ad articolare un discorso: "Mi perdoni Consigliere (un po' di adulazione non guasta mai nei confronti di un magistrato, pensò) ma non capisco proprio cosa possa c`entrare io nella vostra inchiesta sulle tangenti: vede io..." e qui gli snocciolò una sintesi non priva di accenni narcisistici alla propria attività di studioso e di libero professionista estraneo a tutto il marcio di Tangentopoli ed anzi sostenitore dell'esigenza di far pulizia.
Il dr. Di Pietro lo stette ad ascoltare pazientemente per qualche minuto fra il sorpreso e l'ironico, poi l'interruppe: "Guardi professore che l'equivoco e tutto suo: non siamo mica qui ad investigare sullo scandalo delle tangenti. Ormai è una vicenda vecchia. Lei è stato arrestato per i concorsi a cattedra.
Il prof. Ottimo trasalì per la sorpresa: ma nel contempo si sentiva un po' sollevato. Lo scandalo delle tangenti era per lui un buco nero, non ne sapeva più di quanto veniva ingigantito sulla stampa, ignorava personaggi e meccanismi. Dei concorsi sapeva invece tutto: da vent'anni - anzi da sempre - la sua vita era stata scandita dai concorsi; prima quelli cui aveva partecipato come candidato e dei cui segreti il suo Maestro - un vero "barone" di quelli d'una volta che ora si trovavano solo fra i medici - lo aveva reso edotto; poi tutti quelli nei quali era stato commissario, animatore esterno, organizzatore elettorale. Ne finiva uno e subito si apriva la campagna per quello successivo. Era perfino capitato, dopo la riforma" dell'80 di trovarsi contemporaneamente nella Commissione di I fascia ed in quella di II fascia: bastava che il suo nome comparisse fra i presenti alla più banale delle iniziative perché nella sala si materializzassero una cinquantina di candidati e postulanti venuti apposta per farsi vedere e riverirlo.
Ma non era il momento per reminiscenze auto celebrative; comunque era un vantaggio conoscere il terreno sul quale doveva misurarsi con l'avversario che aveva di fronte. "Allora Professore - riprese l'inquisitore - vorremmo che lei ci chiarisse i termini dell'accordo raggiunto con i proff. Tulissi e Morlando (erano due suoi colleghi commissari nell'ultimo concorso) in occasione del pranzo al ristorante "Giangastone" il 23 marzo dell`anno scorso. Ottimo fece una faccia di circostanza, come se cadesse dalle nuvole: "Quale pranzo?" rispose con aria da finto tonto per prendere tempo e cercare di capire che carte avesse in mano il P. M.
La risposta fu un siluro: "Guardi professore, non vale la pena che bluffi con noi: nell'altra stanza c`è il dr. Colombo che sta interrogando da un paio d'ore il suo collega Tulissi e un altro membro della commissione, Ciccone, ha reso una confessione spontanea di una trentina di pagine al dr. Navigo.Veniamo dunque al concreto e non aggravi la sua posizione".

 Questa volta Ottimo non fece neanche finta; proprio non capiva: "Guardi dr. Di Pietro, a quanto mi ricordo, si trattò di un pranzo casuale; c'eravamo incontrati per un arbitrato e decidemmo di andare a mangiare assieme. Avremo parlato un po' di tutto, come si fa tra colleghi; certo anche dei concorsi ma in modo generico".
Di Pietro non si scompose. Con voce quasi suadente replicò: "Continuiamo a non capirci. Prof. Ottimo, in questa conversazione telefonica del 16 marzo lei dice al prof. Corelli, che non fa parte della Commissione, "Giovedì prossimo, mi vedo con Tulissi e Morlando, penso che dovremmo chiudere: sei a noi, cinque a loro, il resto per le scuole più rappresentative". E qualche giorno dopo il 22, il 27 per l'esattezza, in un'altra telefonata dice: "Mi pare che ci siamo. Speriamo solo che quel fesso di Bagnarecci non ne combini una delle sue". Allora le ripeto la domanda: "Quale fu il contenuto esatto dell'accordo che prendeste al ristorante?".
L'idea che per mesi il suo telefono fosse stato sotto controllo gli fece perdere per un attimo la sua abituale compostezza; maledì Vassalli e il suo codice di procedura penale ("Dovremmo intitolare le piazze ad Alfredo Rocco" pensò fra di sé) che consentiva al P.M. di spiare i cittadini senza nessuna garanzia. Poi riprese fiato e cercò di girare la frittata: "Mi scusi dr. Di Pietro, se sapete già tutto che bisogno c'è di farmi domande nel cuore della notte? Ebbene sì, ci siamo visti Tulissi, Morlando ed io per parlare del concorso e per trovare una soluzione ai vari problemi. Che male c'è? Forse non s'incontrano i soci di riferimento prima dell'assemblea ordinaria, oppure i capigruppo della Camera prima del voto per una legge importante? È diventato reato scambiarsi delle opinioni?" chiese con un tono più concitato.
"Dipende" rispose l'interlocutore. "Dipende se furono solo opinioni o qualcos'altro. Vede, in questo appunto che abbiamo trovato a casa del prof. Morlando ("quel cretino di Morlando, con la sua mania di raccogliere tutto, concorso per concorso, come se si trattasse di una dichiarazione dei redditi" pensò Ottimo), e che lui dice essere stato scritto da lei in quella occasione (come negarlo, era proprio la sua grafia, per di più dietro la ricevuta fiscale del ristorante) si legge "Roma-Napoli 6; Firenze-Torino 5; Palermo 1; Catania 1; Bari 1; Bologna 1; Milano 1; Genova 1. Cosa vuol dire?". "Ma proprio non capisco, Consigliere, dove vuole arrivare", rispose Ottimo quasi seccato. "Era solo un'ipotesi di accordo sulla quale lavorare.
Erano mesi che non riuscivamo a mettere in piedi una maggioranza e questa soluzione ci trovava concordi e non creava troppi scontenti. Voleva forse che la tirassimo per le lunghe così magari il Ministero ci dichiarava decaduti e la Corte dei Conti ci intentava un giudizio di responsabilità?". "Mi spieghi - disse Di Pietro, come se neanche avesse sentito la risposta - cosa significa questa espressione "Milano 1". semplicissimo - spiegò Ottimo, come se fosse rivolto a uno studente del primo anno che non ha capito una nozione istituzionale - vuol dire che si chiede agli amici milanesi di fornire una indicazione fra i candidati più quotati della loro scuola che serva ad orientare la commissione. Mi sembra un modo efficace per compiere scelte difficili consultando i capi-scuola. Loro meglio di nessun altro conoscono gli allievi". "Ma perché '1' e non '2', '3' o '4'?" incalzò il magistrato. "Perché, perché... - Ottimo cercò di calibrare la risposta alla domanda in cui sospettava qualche insidia - se l'accordo della maggioranza è nel senso di attribuire alla scuola milanese un riconoscimento in quella misura... (non finì la frase perché si rese conto di essere su un piano inclinato), cosa vuole, Consigliere, i posti sono sempre limitati, non possiamo accontentare tutti, sono scelte difficili, è inevitabile che finiamo per scontentare qualcuno; lei sa meglio di me come sono fatti i concorsi, concluse con tono apologetico.
"Quindi, quando fate queste... attribuzioni lo fate a fin di bene, per cercare di creare meno insoddisfazioni possibili, per evitare che vi si possa accusare di aver fatto man bassa; anche per questo coinvolgete nelle scelte i capi-scuola?" "Proprio così - si affrettò a concludere Ottimo, lieto che il P.M. avesse capito il meccanismo- e, d'altra parte, Consigliere lei non può immaginare come viviamo noi commissari: siamo inseguiti ovunque, dovunque andiamo c'è qualcuno che perora la causa del candidato X o del candidato Y. Quando poi siamo vicini alla riunione conclusiva ci telefonano a casa a tutte le ore, a mezzanotte, all'una, alle due di notte. Una vita d'inferno mi creda: mia moglie ormai dorme con i tappi nelle orecchie perché si attende sempre che chiami qualcuno".
"Mi scusi - chiede con tono garbatamente ingenuo Di Pietro - ma chi le telefona, i candidati?".Ma neanche per sogno, neanche si azzardano; sono i loro maestri, i loro sponsor che si danno da fare; e d'altronde non so dare loro torto, fa parte delle regole del gioco: se non fossi commissario lo farei anch'io". "Quindi, in un certo senso, agite sotto la pressione di persone autorevoli, rispettate. Saprebbe farmi qualche nome?". Ottimo ebbe un attimo di incertezza: non capiva se doveva indicare dei testimoni a discarico, oppure fare una chiamata di correo. Poi si disse: "Alla peggio, morirà Ottimo con tutti i cattedratici" e si affrettò a snocciolare il Gotha della sua disciplina: autori di manuali, direttori di trattati e di enciclopedie, commentatori da prima pagina di quotidiani nazionali. Ne restava fuori solo chi era già in commissione. "Capisco, capisco - disse l'inquisitore - ma, mi spieghi, se nel concorso ci fossero, che so, cinque o sei candidati bravissimi di... di... Livorno, come si mette la faccenda?". "Si mette male -rispose Ottimo con il tono colloquiale che avrebbe usato con un collega americano che gli avesse chiesto come avviene dei docenti universitari nel nostro paese - in primo luogo perché a Livorno non c'è l'università, in secondo luogo perché se ne diamo cinque a Livorno, quanti ne dobbiamo dare a quegli arraffoni di romani? venti almeno. E dato che i posti non ci sono, purtroppo qualcuno deve rimanere a casa". "Dunque lei mi sta dicendo che vi è una proporzionalità nelle attribuzioni?". "È inevitabile - rispose Ottimo col tono dell'ovvietà - i membri della commissione vengono eletti; per essere eletti occorrono un certo numero di voti, per ottenere i voti è necessario stringere accordi elettorali con diverse scuole; in più c'è questo meccanismo demagogico del sorteggio - colse uno sguardo d'intesa di Di Pietro - per cui occorrono delle intese assai ampie. È naturale che ogni commissario tenda a farsi carico degli interessi dei propri elettori e a tutelarne le ragioni". -Una sorta di mandato, dunque". "Esatto, un mandato, una sorta di mandato parlamentare". Rispose felice Ottimo, contento di aver trovato questa chiave di lettura istituzionale. "Ma i candidati, in tutto questo, cosa fanno?". - Cosa vuole che facciano? - rispose Ottimo - aspettano, lavorano, chi più chi meno, si angosciano, si preoccupano. Fanno la vita del candidato in attesa di concorso che abbiamo fatto tutti noi: e che fanno tutti quelli - gettò uno sguardo verso l'interlocutore cercandone la complicità - che hanno partecipato ad un concorso pubblico". "Ma i titoli, il lavoro svolto conterà pure qualche cosa? Farete una graduatoria, immagino" insistette il magistrato. "Ovviamente. Valutiamo quello che hanno scritto, ci scambiamo le opinioni, facciamo delle schede su ciascun candidato che poi, da giudizio individuale diventano, se trovano concorde la maggioranza, giudizio della commissione". "Mi può far avere le sue schede?" chiese Di Pietro. Beh... veramente... - divagò Ottimo - in questo concorso le schede la ha materialmente redatte Tamburi che è più giovane di me e a tempo pieno, sulla base di un esame congiunto dei titoli". Dunque lei mi conferma che le valutazioni le ha fatte sulla base delle schede redatte da un altro membro della commissione".
"Per carità - replicò offeso il professore - l'opinione sui candidati me la son fatta leggendo i loro lavori; le schede di Tamburi erano puramente un'espressione sintetica di un giudizio comune". "Mi dispiace professore; ma qui c'è una contraddizione. A pagina... mi faccia trovare... ecco, a pagina 38 del suo interrogatorio, Tamburi testualmente dice "Ottimo mi chiese di preparare delle schede su  ciascun candidato perché lui non aveva tempo; io le predisposi e solo più tardi le feci avere a Ottimo il quale non mi fece alcuna osservazione". Come la mettiamo?".
"Guardi Consigliere - rispose Ottimo sulla difensiva - ci deve essere un equivoco; comunque sia i titoli io me li son visti con cura e i giudizi che abbiamo espresso Tamburi ed io sono coincidenti perché l'abbiamo sempre pensata allo stesso modo". "Ma allora come mi spiega il fatto - e qui Di Pietro allungò una mano sotto la scrivania alla quale era seduto e ne trasse un bustone di quelli imbottiti - che i libri di questo candidato sono intonsi; guardi questo, non sono state tagliate le pagine, nemmeno quelle dell'indice".

 Ottimo trasalì e imprecò fra di sé contro la malasorte: "Ma guarda che sfortuna - pensò - proprio un libro di quelli all'antica che non sono stati passati alla taglierina: e per di più D'Eustacchi che è molisano come Di Pietro e che forse meritava di vincere; mannaggia a Luigi che mi ha messo in croce per mesi perché mandassi in cattedra quel suo allievo che vale poco o niente, e che ci ha portato a sacrificare D'Eustacchi".
Ma non aveva tempo per recriminare: l'inquisitore era davanti a lui e lo fissava aspettando la risposta. Non l'ho aperto perché già lo conoscevo, l'avevo letto nella biblioteca dell'Università" rispose con tono convinto. "Mi sembra improbabile, professore - lo contraddisse gelidamente il magistrato - qui sul volume c'è scritto "Edizione provvisoria" e abbiamo controllato al catalogo della biblioteca: il libro non c'è. E nel suo giudizio personale del candidato si scrive a proposito di questo libro "___ pur presentando spunti originali l'opera evidenzia lacune - si tratta infatti di una edizione provvisoria - che non consentono di esprimere un giudizio positivo, almeno in questo concorso". Sembrerebbe che lei non sia andato oltre la copertina del volume". 
"Le assicuro Consigliere, lei può anche non credermi, ma le cose non stanno così...", ma nella breve pausa di Ottimo si inserì il magistrato: "Guardi professore, qui non giochiamo a ladro-ladrone, sono mesi che questa inchiesta é in corso; qui risulta... - e tirò fuori uno scatolone da sotto la scrivania, dal quale aveva prima estratto il plico di D'Eustacchi - qui ci sono una quarantina di buste o di pacchi a lei indirizzati con i lavori dei candidati; molte sono ancora chiuse, nelle altre i libri sono rimasti intoccati. Non mi verrà mica a dire che si è letto la copia mandata al ministero, come hanno sostenuto alcuni suoi colleghi? Sa, anche quelle sono più o meno vergini". Ottimo capì che era nei guai, farfugliò qualche giustificazione, ma Di Pietro non lo lasciò continuare.
"Lei, professore, è anche avvocato; cosa penserebbe del giudice che scrivesse la sentenza senza ascoltare la sua discussione o leggere la sua memoria?" (Ottimo pensò: "Succede tutti i giorni, metà dei giudici del Tribunale dovrebbe essere nella mia stessa posizione"; ma represse questa sua esternazione). "Oppure - proseguì il magistrato - cosa succede se i collaudatori di un ponte non si guardano il piano dell'opera e il diario dei lavori?". ("Non gli succede nulla, tanto nella commissione di collaudo hanno ficcato apposta un magistrato" - ma gli sembrò che la sua posizione non fosse la migliore per fare battute impertinenti). Gli riuscì solo una difesa debole fìn nel tono: "Ma i candidati noi li conosciamo da anni, è gente che scrive sulle riviste, sappiamo come lavora, qual è il loro metodo, la loro scuola...".
Gli arrivò un nuovo uppercut: "Perché, questo Dorpelli di Sondrio che ha scritto una provvisoria di 80 pagine e due note a sentenza su Temi Valzellinesi e che ha vinto il concorso, lo conosceva da anni? Suvvia, professore, non dica sciocchezze". Ottimo ormai aveva perso la bussola: "ma di che diavolo mi state accusando: ammesso - ed e falso - che non avessi letto qualche libro, è forse un reato?" esclamò con una voce che tendeva all'isteria. "Un reato?" rispose il magistrato - calcando l'accento sull'articolo. "Ma se la è letta l'ordinanza di custodia cautelare? Vuole che gliela spieghi, visto che lei si occupa d'altro? Allora - e si mise a recitare con quel tono che Ottimo aveva trovato già sgradevole quando per caso aveva visto Di Pietro a "Un giorno in Pretura" -: art. 294 attentato ai diritti politici: il concorso,legale e imparziale, sancito dalla Costituzione all'art. 97. C'è perfino un precedente neanche tanto lontano della Corte d'Assise di Padova - è un reato da Corte d'Assise, sa? - che riguarda un concorso universitario aveva coinvolto, pensi un po', il prof. Frugoni; art. 479, falso ideologico: spiegherà al dibattimento che quanto scritto nei giudizi individuali e collettivi era frutto del vostro fondato giudizio; a me che faccio il P.M. non pare proprio; art. 323, abuso d'ufficio; tutto il modo di lavorare della commissione costituisce uno stravolgimento delle regole fissate per il suo corretto svolgimento; art. 318, corruzione...". Alla parola "corruzione" Ottimo che era rimasto muto di fronte alla sequela degli altri reati esplose: "Ma che corruzione e corruzione, io non ho mai chiesto nulla, non ho ricevuto nulla, sono un professionista che vive del proprio lavoro, dall'Università ricevo solo due spiccioli al mese e adesso mi si accusa di corruzione, questo è proprio il colmo!". "Non si agiti tanto, professore, Tulissi ha appena confessato che gli fu promessa la presidenza di una importante impresa pubblica come contropartita del suo comportamento concorsuale. E se è diventato effettivamente presidente devo ritenere che abbia rispettato gli impegni assunti".
"Ma cosa vuole che ne sappia io di quel vanitoso di Tulissi; che ne so io se qualcuno è così disonesto da vendersi le cattedre?..." replicò Ottimo quasi in lacrime. "Ma come, professore, una persona della sua esperienza ignorava tutto questo? Nella sua posizione- e Tulissi faceva parte della maggioranza - lei non poteva non sapere...".
                                                                     ******
Come ogni mattina, la sveglia suonò alle sette nel preciso momento in cui Ottimo, agitandosi nel sonno, stava per urlare in faccia a quell'odioso magistrato "Ma allora ha ragione Craxi, quando dice che...". Gli ci volle del tempo prima di riprendersi; per almeno venti minuti rimase supino nel letto guardando il soffitto dicendosi che era stato solo un brutto sogno, anzi un incubo, che non si trovava in carcere; che non c'era nessun Di Pietro nella stanza, che non avevano arrestato né lui, né nessun altro. Quando finalmente si calmò, si calmò e con i gesti lenti e meccanici di chi è scampato per un pelo ad un disastro si lavò e si vestì. Uscì evitando accuratamente di passare per l'edicola: gli bastava la sua tangentopoli onirica senza bisogno di immergersi nelle squallide cronache giornalistiche.
Prese un taxi che lo portasse all'Università, e nella luce incerta della Biblioteca sprofondò - erano ormai anni che non lo faceva - nella lettura degli ultimi fascicoli del supplemento "Comunità Europee" della Gazzetta Ufficiale. Gli interminabili regolamenti sulle rotture di riso, sulle limitazioni alla pesca dell'haddock da parte delle navi battenti bandiera danese, sul contingentamento dell'importazione di garofan spray da Israele, sulle caratteristiche uniformi per i collari antipulci per cani e gatti, ebbero su di lui un effetto rinfrescante, riportandolo nel ricordo ad anni lontani in cui essi erano la sua lettura quotidiana. Ma nella riacquistata quiete dopo la tempesta notturna, dal fondo del cervello emergeva ad intervalli regolari con fastidiosa e vanamente scacciata insistenza, l'ultima frase di quell'incubo prima del risveglio: "Professore, lei non poteva non sapere...".

 

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