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Una lezione da non dimenticare

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Superò piazzale Ostiense e si diresse verso via di Monte Te­staccio.

Prima di raggiungere gli amici a Trastevere, voleva constatare di persona l'ampiezza e l'acustica di un localino dove gli avevano appena proposto un contratto per quattro sabati consecutivi.

Girando l'angolo per via Caio Cestio, non fece caso ai due tizi fermi davanti al cimitero acattolico. Parlottavano tra di loro, ridendo, entrambi con un giornale in mano.

Sembravano persone ordinarie, di età indefinibile, probabil­mente sopra i quaranta, senza elementi che potessero contribuire a distinguerli dal resto della massa.

Uno dei due aveva la barba e gli occhiali, l'altro era basso e con la pancia prominente.

Li aveva appena superati, assorto nelle sue preoccupazioni, quando si sentì afferrare per una spalla.

"Ma 'ndo vai, bello!", esclamò il più basso tra i due.

"Che per caso c'hai fretta?", gli fece eco l'altro.

"Chi siete?", domandò Fabio allarmato, pensando che potes­sero essere scagnozzi dello strozzino cui doveva dei soldi.

 "Che cazzo te ne frega de chi semo noi?", rispose quello con la barba, scurendosi in volto all'improvviso. "Pensa invece a chi cazzo sei tu!"

"E già! Tu sei proprio n'omo de mmerda!", aggiunse l'altro.

"Ma cosa volete da me?", chiese Fabio cercando di guadagna­re qualche secondo, guardandosi intorno per vedere se nel frat­tempo stesse arrivando qualcuno. "Adesso i soldi non ce li ho, ma dite a chi vi manda che li avrò prestissimo… Deve soltanto avere un altro po' di pazienza".

"Soldi? Ma che ce frega a noi dei soldi?", replicò il barbuto.

"Vie' qua, stronzo!", ringhiò prendendolo per la maglietta e strattonandolo con forza fino a farlo sparire in una rientranza nascosta del viale che costeggiava il parco del cimitero.

Fabio era terrorizzato, non sapendo cosa pensare e quale fine gli avrebbero fatto fare quei due energumeni.

"A noi dei soldi nun ce ne frega un cazzo", iniziò a spiegare con apparente calma il tizio più basso. "Quello che ce interessa è che da ora in poi tu cominci a comportatte bene e a mette la testa a posto".

"Cosa devo fare?", chiese con la voce incrinata dalla paura. "Ditemi quello che devo fare e io lo farò".

"Bravo!", esclamò l'uomo annuendo. "Così ce piaci!"

"Vedi che nun sei der tutto stronzo?", intervenne il barbuto.

"Cosa devo fare esattamente?", chiese Fabio che ancora non aveva capito cosa quei due volessero da lui.

"È semplicissimo!", rispose il tizio con la barba. "Devi smette de rompe er cazzo ad Anna Sabelli".

"Anna?", chiese interdetto. "Che c'entra Anna coi miei debiti?"

"Ancora co' sti cazzo de debiti!", disse esasperato l'uomo. "Lo voi capi' che a noi de li debiti tua nun ce ne frega gnente?"

"Ma allora chi vi manda? Non mi direte che è stata…"

S'interruppe a metà della domanda. Stava finalmente comin­ciando a capire chi c'era dietro quella specie di aggressione. Peg­gio, molto peggio dello strozzino.

 "Ahò, te l'avevo detto che questo nun era der tutto cojone!", disse il barbuto sorridendo rivolto all'amico.

"C'hai ragione! Me sa tanto che ha capito".

"Sei sicuro? Che famo? Se fidamo?"

"Nun lo so", rispose pensieroso il tizio basso. "Nun vorrei che 'sto stronzo ce costringesse a torna'…"

"Non dovrete tornare!", quasi gridò Fabio. "Non dovrete tornare. Lo giuro!"

"Nun te l'ha detto mammina che nun se giura?", replicò il pancione ridendo. "Famo 'na cosa: famo in modo da esse sicuri sicuri che hai capito".

"Non c'è bisogno! Non ce n'è bisogno!", li supplicò Fabio. "Qualunque cosa abbiate intenzione di fare, vi giuro che non ce n'è bisogno! Ho capito tutto! Non mi farò più vedere, lo giuro".

"Aridaje co' sti giuramenti", disse l'uomo con la barba. "Nun è che nun te credemo… ma a noi ce piace fa' le cose per bene. Ce devi scusa'…"

Il tizio con la pancia gli afferrò all'improvviso il braccio, tor­cendoglielo verso la schiena, fino a costringere il ragazzo a pie­garsi in ginocchio.

"Vi prego, no!", gridò lui disperato. "Aiuto! Aiuto!"

Il barbuto gli sferrò con forza un calcio in bocca, costringen­dolo al silenzio.

"Lo vedi che sei 'na gran testa de cazzo?", gli sibilò a un centi­metro dall'orecchio. "Lo vedi che facevamo bene a nun fidacce?"

"Daje, nun stamo a perde artro tempo", disse il tizio basso.

Si piegò anche lui sulle ginocchia e afferrò la mano destra di Fabio, all'altezza del polso, appoggiandogliela a terra. Poi estras­se dalla tasca dei pantaloni da lavoro un pesante martello e l'ab­batté con forza sulle dita del ragazzo.

Tutto avvenne con una rapidità estrema, meno di cinque se­condi.

Fabio non fece nemmeno in tempo a realizzare cosa gli stesse succedendo.

Sentì un dolore lancinante quando le piccole ossa di tre falan­gi si fratturarono.

Gorgogliò per la sorpresa, ma non riuscì a gridare. Gli occhi gli si riempirono di lacrime e cominciò a contorcersi per terra senza dire una parola. Temeva che se avesse urlato o pianto o fatto qual­siasi altra cosa quei due l'avrebbero ammazzato senza tanti com­plimenti. Dovrei farti sparire dalla faccia della terra, gli aveva detto Elisa.

"Così c'hai 'na scusa pe' nun strimpella' la chitarra stasera!", disse il barbuto tutto allegro.

"Mejo così", gli fece eco l'amico. "Tanto suoni propio de mmerda".

Fabio restò steso per terra, piegato in due dal dolore, senza rispondere.

"Adesso sì che semo sicuri che hai capito!", esclamò il tizio basso.

"Hai finito de frega' li sordi alle ragazzine, brutto pezzo de fango!", rincarò la dose il barbuto tornando serissimo. "Stavorta, t'è annata bene e t'avemo spezzato solo quarche dito. La prossi­ma vorta te spezzamo er braccio. Poi te famo un buco in testa e te famo spari' pe' sempre".

"Te poi fida' de noi…", aggiunse l'amico. "Nun te troveran­no mai, sempre ammesso che a quarcuno gliene freghi un cazzo de cercatte".

Si girarono e si allontanarono, come se nulla fosse, lasciando il ragazzo per terra semisvenuto.

Fabio piangeva in silenzio e cercava di non pensare a nulla.

Voleva concentrarsi soltanto sul suo dolore e sulla circostan­za miracolosa di riuscire ancora a respirare.

Eppure, c'era un pensiero che lo tormentava e che non riu­sciva in alcun modo ad allontanare da sé: la vacanza era finita.

I tempi delle vacche grasse se n'erano andati via.

Per sempre.

 

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