"Ai professori non si chiede di studiare e di preparare lezioni.
potrebbero essere invece investite per leggere classici, per approfondire le proprie conoscenze e per cercare di insegnare con passione".
Nuccio Ordine
, professore ordinario di letteratura italiana presso l´Università della Calabria, noto in ambito internazionale per i suoi vivaci interessi per la filosofia italiana e gli studi su Giordano Bruno e sul Rinascimento, punta l´indice sulla riforma varata dal Governo e spiega cosa andrebbe fatto. Ecco il suo commento:
Ora che le scuole riaprono dopo la pausa estiva, per capire la vera essenza dell´insegnamento bisognerebbe rileggere con attenzione la commovente lettera che Albert Camus – poche settimane dopo la vittoria del Nobel (19 novembre 1957) – scrisse al suo maestro di Algeri, Louis Germain: «Caro signor Germain, ho aspettato che si spegnesse il baccano che mi ha circondato in tutti questi giorni, prima di venire a parlarle con tutto il cuore. Mi hanno fatto un onore davvero troppo grande che non ho né cercato, né sollecitato. Ma quando mi è giunta la notizia, il mio primo pensiero, dopo che per mia madre, è stato per lei. Senza di lei, senza quella mano affettuosa che lei tese a quel bambino povero che ero, senza il suo insegnamento e il suo esempio, non ci sarebbe stato nulla di tutto questo».
Adesso che i riflettori rimarranno accesi ancora per qualche giorno sull´inizio del nuovo anno scolastico, sarebbe importante concentrare il dibattito su due figure essenziali: gli studenti e i professori. Eppure – dopo i numerosi «terremoti» che hanno scosso le fondamenta del nostro sistema educativo – sembra che la relazione maestro-allievo non occupi più quella centralità che dovrebbe avere.
Ai professori, infatti, non si chiede di studiare e di preparare lezioni. Si chiede, al contrario, di svolgere funzioni burocratiche che finiscono per assorbire gran parte del loro tempo e del loro entusiasmo. Le ore dedicate a riempire carte su carte potrebbero essere invece investite per leggere classici, per approfondire le proprie conoscenze e per cercare di insegnare con passione.
Dopo decenni di devastanti tagli all´istruzione, l´unico importante investimento economico (un miliardo di euro) degli ultimi anni è stato destinato alla cosiddetta «scuola digitale», con l´illusione che le nuove tecnologie possano garantire un salto di qualità. Ma ne siamo veramente sicuri, in un momento in cui mancano le risorse destinate a riqualificare la qualità dell´insegnamento? A cosa serve un computer senza un buon docente? Il caos di ogni inizio anno e le incertezze del reclutamento dei professori stanno sotto gli occhi di tutti.
La «buona scuola» non la fanno né le lavagne connesse, né i tablet su ogni banco, né un´organizzazione manageriale degli istituti e ancor meno leggi che rendano l´istruzione ancella del mercato: la «buona scuola» la fanno solo e soltanto i buoni professori.
Basterebbe leggere le dichiarazioni del Presidente Macron per capire l´orientamento della Francia: non più di 12 alunni per classe nelle aree considerate a rischio «economicamente» e «socialmente», proprio per dare, attraverso uno straordinario potenziamento dei docenti, più centralità al rapporto diretto con gli studenti.
Dai professori bisognerebbe partire. Che fare? Come formarli? Come selezionarli? La nostra scuola non ha bisogno di ulteriori riforme. Non ha bisogno dell´alternanza scuola-lavoro così come viene applicata (le ore non sarebbe meglio investirle in conoscenze di base?).
Non ha bisogno di commissioni che studiano la riammissione degli smartphone in classe (perché, al contrario, non aiutare gli studenti, che li usano tutto il giorno, a «disintossicarsi» e a vincere la «dipendenza»?) o che propongono la riduzione di un anno della scuola secondaria (la fretta non aiuta a formare alunni migliori: la frutta maturata con ritmi veloci non ha lo stesso sapore di quella che cresce sull´albero). La peggiore delle riforme con buoni professori darà buoni risultati.
E, al contrario, la migliore delle riforme con pessimi professori darà pessimi risultati. C´è bisogno di un sistema di reclutamento che possa garantire un percorso chiaro e sicuro: ogni anno, a prescindere dal colore dei governi, un concorso nazionale (come si fa in molti Paesi). E non l´alea dei concorsoni decennali e dei percorsi improvvisati che hanno prodotto infinite tipologie di precari: una matassa talmente ingarbugliata che nessun miracoloso algoritmo arriverà a sbrogliare.
Decine e decine di migliaia di precari (con ormai un´età media veramente preoccupante) potranno entrare in classe con entusiasmo? Potranno insegnare con passione? Selezionare i buoni professori (eliminando completamente il precariato) e ridare dignità al lavoro di insegnante (anche sul piano economico, visto che gli stipendi italiani sono molto bassi rispetto alla media europea) è ormai una necessità. Solo così potremo riportare la scuola alla sua vera essenza, alla centralità del rapporto docente-allievo.
In alcune scuole del nord e del sud, ogni giorno, questo miracolo già accade. Riposa sulle spalle di singoli insegnanti appassionati che dedicano, controcorrente, la loro vita agli studenti. Che cercano di far capire ai ragazzi che a scuola ci si iscrive soprattutto per diventare migliori e che la letteratura e le scienze non si studiano per prendere un voto, o per esercitare solo una professione, ma perché ci aiutano a vivere.
Per fortuna, nonostante leggi e circolari assurde, non mancano fino ad oggi allievi che hanno visto cambiare la loro vita grazie all´incontro con un professore. Proprio come il maestro Germain, in Algeria, era riuscito a cambiare il destino di uno scolaro, orfano di padre e molto povero, come Albert Camus. Ma, se non si frena il declino, per quanti anni ancora la scuola potrà contare su quei docenti (ormai sempre più rari) in grado di compiere miracoli?
*pubblicato su Corriere.it 2/9/2017