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Correva l'anno 1961.
Frequentavo la terza magistrale, ed in attesa della fine dell'anno scolastico, mi ero dato da fare per trascorrere delle vacanze-lavoro in quel di Uster, in Canton Zurigo. Meta, a quell'epoca di grossi flussi migratori meridionali, siciliani in particolare e provenienti dal mio paese di origine in grande preponderanza. Attualmente ci sono ad Uster niscemesi della terza generazione.
Ero elettrizzato al pensiero di un viaggio così lontano.
Ma non nascondo che godevo anche dell'invidia di qualche coetaneo pensando a chissà quali frequentazioni, femminili soprattutto, che irroravano di cocenti propositi le nostre fantasie.
Prima di partire non avrei mai immaginato di essere chiamato, con toni preoccupati, dal mio insegnante di religione, giovane ed intraprendente sacerdote.
"Ninuzzu, vai in Svizzera? Ma lo sai che ci sono i protestanti? Ma lo sia che perfino i sacerdoti si sposano seguendo l'esempio di quel grande storico screanzato di Martin Lutero? Un monaco che non seppe allontanarsi dalla "tentazione della carne".Occhiu vivu e stai attento!.
Ero ripiombato negli anni adolescenziali dell'Azione Cattolica. Alle interminabili serate dove si passa il tempo più a riflettere sulle cose proibite che su quelle concesse.
A quegli strani avvisi ai fedeli, affissi sulla bacheca del portone d'entrata delle chiese dove venivano intimati ordini categorici: "Libri da leggere. Libri proibiti; Film da vedere. Film proibiti; Giornali da leggere. Giornali vietati".
E' inutile dire che il "proibito" superava di gran lunga il "permesso". E il proibito era accompagnato vistosamente dal pericolo della scomunica, dalle fiamme certe dell'inferno.
I toni esacerbati erano quelli che oggi possiamo ascoltare dagli sproloqui di certe personaggi pubblici, che dal paventare timore di un comunismo, che mangia e bolle i bambini, ha fatto la loro fortuna.
E a nulla valevano le proteste di uomini che, pur essendo cattolici praticanti, si indignavano davanti a questo mercato dell'orrore.
Tra questi Arturo Carlo Jemolo. Grande giurista e cattolico. Il padre era siciliano di Ragusa. Mentre la madre era di religione ebraica. Una mamma che non esitò a far battezzare il piccolo Arturo Carlo, sette anni dopo la morte della propria madre.
Arturo Carlo Jemolo, da giovane usufruì dalla vicinanza del vasto parentado "ebraico" della madre, grandi intellettuali laici, di grande apertura mentale e professori universitari. Almeno prima che si instaurasse il fascismo in Italia.
La tolleranza critica era il nesso e la scelta che univano giovani di grande speranza, al di là delle scelte religiose. Esperienza che il prof. Jemolo affiderà ad un bellissimo libro, "Anni di prove", pubblicato a Vicenza nel 1968.
Ma a guerra finita il prof. Jemolo, sulle pagine della rivista "Il Ponte" di Piero Calamandrei, scrive nel 1947:
"Qualche settimana fa ero a Venezia e leggevo sulle porte delle chiese un 'Indicatore della stampa periodica': niente a ridire che fossero indicati tra i giornali e periodici esclusi 'Società e Politecnico', che non sono certo fogli anticlericali, ma che sono di ispirazione comunista; alquanto a stupire di vedere tra gli esclusi l'irriducibile settimanale dell'antifascismo, 'Cantachiaro', e tra i leggibili il parallelo filofascista 'Candido'; ma un certo scandalo, sì, nel vedere tra i leggibili indicati tutti i fogli del neofascismo, quelli che non hanno ripiegato un lembo della vecchia guardia".
Quello era il clima in Italia.
Diverso, molto diverso quello che trovai ad Uster.
Infatti, una sera il responsabile della Missione Cattolica, un ex missionario, che aveva operatpo nei Paesi dell'America latina, don Filippo Menghini, mi chiese di andare a cena da un suo caro amico.
Era il pastore protestante, con moglie e prole. Ho passato l'intera serata a pensare al mio giovane insegnante di religione.
Il senso di questo lungo preambolo è legato a fatti recenti che turbano le coscienze dell'uomo al di là dell'appartenenza laica o cattolica.
Ho assistito, qualche anno fa, ad una conferenza "ecumenica" in una chiesa evangelica. Relatori il pastore evangelico ed un giovane parroco che si sono cimentati nella demolizione del libro di Dan Brown , "Il Codice Da Vinci", il betseller che ha venduto 40 milioni di copie.
Pensavo che mi sarei trovato a fronte di argomentazioni corpose sia dal profilo teologico che storico. Niente di tutto questo. Anzi! Mi sono trovato ad e assistere ad una disamina, concordata contro un libro, perché al di là dell'argomento, sempre di un libro si tratta, che ha avuto il grande torto di riprendere argomenti e tesi di vangeli apocrifi con qualche visitina in leggende di ordini medioevali.
Si recupera, soprattutto, l'ordine fondato da Goffredo da Buglione, "Il Priorato di Sion", la parte sudorientale della città di Gerusalemme, che tra una crociata e l'altra ebbe il tempo anche di dar vita alla leggenda che vuole i Merovingi discendenti diretti del rapporto tra Gesù e la Maddalena.
Nel frattempo, in occasione dell'uscita del film, tratto dal romanzo, le chiese si sono allarmate ed hanno creato allarmismi lanciando anatemi contro il libro e contro il film.
Mettere all'indice un romanzo, ed un film, al di là degli argomenti ci sembra essere ripiombati negli Anni cinquanta con gli indicatori del "proibito" e del "permesso". Ma ci sembra anche la deliberata volontà di andare oltre il fatto in sé. Ci sembra un ritorno a quel passato che avremmo preferito dimenticare.
Quaranta milioni di copie vendute sono un sintomo solo di curiosità?
Non ho letto il libro. Altri sono i miei interessi. Ma ho potuto constatare che il libro lo leggono, e anche con passione, persone che mai hanno avuto dimestichezza con la carta stampata.
Ma il passato che noi avremmo voluto dimenticare, è un passato recente. E dà solo fastidio.
Evidentemente è il passato lontano, la memoria, dimenticata e negata, dei vangeli apocrifi, soprattutto, che fa paura.
Ma per favore lasciamo stare i libri, soprattutto quando invogliano alla lettura. Soprattutto da quando è arrivato un Papa di grande condivisione e tolleranza.
E siamo all'oggi.
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Rosario Antonio Rizzo
Dopo il conseguimento del diploma di insegnante di scuola elementare all’Istituto magistrale “Giuseppe Mazzini” di Vittoria, 1962, si reca in Svizzera, dove insegna, dal 1964 al 1975, in una scuola elementare del Canton Ticino.
Dal 1975 al 1999 insegna in una scuola media, sempre nel Canton Ticino e, in corso di insegnamento dal 1975 al 1977 presso l’Università di Pavia, acquisisce un titolo svizzero, “Maestro di scuola maggiore” per l’insegnamento alla scuola media. Vive tra Niscemi e il Canton Ticino. Ha collaborato a: “Libera Stampa”, quotidiano del Partito socialista ticinese; “Verifiche” bimensile ticinese di scuola cultura e società”; “Avvenire dei lavoratori”; “Storia della Svizzera per l’emigrazione”“Edilizia svizzera”. In Italia: “Critica sociale”; “Avanti”; Annali” del Centro Studi Feliciano Rossitto; “Pagine del Sud”; “Colapesce”; “Archivio Nisseno”.