C´è un progetto di famiglia condiviso fra le due donne, che si è espresso nella decisione di una fecondazione assistita. Per questo il Comune deve trascrivere nell´ atto di nascita del bambino, i cognomi di entrambe le madri.
Lo ha deciso la I sezione Civile della Cassazione, con sentenza n. 14878/17, depositata il 15 giugno.
Due cittadine italiane, residenti e coniugate all´estero, chiedevano all´ ufficio comunale veneziano, che la registrazione dell´atto di nascita del figlio nato da fecondazione assistita, riportasse i cognomi di entrambe le donne, come risultava dall´ atto emesso dall´ Ufficio dello stato civile britannico di Kensington e Chelsea, L´impiegato del Comune italiano, rifiutandosi di eseguire quanto richiesto, registrava il bambino con il solo cognome della madre biologica, senza indicare quello della compagna. Le donne si rivolgevano quindi al tribunale per ottenere la rettificazione dell´atto di nascita.
Il tribunale veneziano rigettava la domanda, sulla base del fatto che la richiesta di rettificazione, doveva considerarsi contraria all´ordine pubblico italiano. Dello stesso convincimento, la Corte d´Appello, che adita successivamente con reclamo, ribadiva che gli atti formati all´Estero, non possono essere trascritti in Italia se sono contrari all´ordine pubblico. Inoltre la vicenda andava necessariamente a tangere la questione della validità del matrimonio tra persone dello stesso sesso.
Ribadiva la Corte che, la Carta dei diritti fondamentali dell´Unione Europea, all´art. 9, garantisce il diritto a sposarsi e a costituire una famiglia, ma ciò deve avvenire secondo le leggi nazionali. Concludeva affermando che, mancando a livello Europeo ed extraeuropeo una disciplina comune delle unioni tra persone dello stesso sesso, non si poteva non esaminare la corrispondenza dei modelli scelti dai vari Stati.
Le due donne, continuavano la loro battaglia con ricorso per Cassazione, osservando di non aver chiesto la trascrizione del matrimonio celebrato all´estero, né che ne fossero riconosciuti gli effetti in Italia, e rivendicavano precisazioni sulla paventata violazione all´ordine pubblico italiano. La trascrizione, poi, del nuovo atto di nascita avrebbe garantito al minore il diritto all´identità personale e lo status di figlio di una coppia di genitori. Negare la trascrizione, così come richiesta, sarebbe stato incompatibile con il diritto comunitario, e avrebbe violato la vita privata e familiare del minore nonché delle ricorrenti.
La Suprema Corte, richiamando la sentenza n. 4184 del 2012, ha evidenziato che in Italia, il matrimonio tra persone dello stesso sesso non può considerarsi inesistente, ma soltanto inefficace, sottolineando in tal modo, l´errore del giudice a quo.
Il giudice del merito avrebbe dovuto esaminare inoltre la contrarietà, non all´ordine pubblico interno, che fa riferimento al limite all´ autonomia privata, indicato da norme di diritto interno, ma piuttosto all´ ordine pubblico internazionale dell´atto estero con riferimento ai principi della nostra Costituzione, alla Dichiarazione ONU dei Diritti dell´Uomo, alla Convenzione Europea dei Diritti dell´Uomo, ai Trattati Fondativi, alla Carta dei diritti fondamentali della Unione Europea e, alla Dichiarazione ONU dei diritti del Fanciullo, alla Convenzione ONU dei Diritti del Fanciullo, alla Convenzione Europea di Strasburgo sui diritti processuali del minore.
Non ha poi mancato la Corte, di affermare che quello di sposarsi e formare una famiglia, è un diritto che va riconosciuto a ogni individuo, sia che si tratti di un eterosessuale che di un omosessuale.
Motivo di riflessione, che ha contribuito a che i supremi giudici si pronunciassero a favore delle ricorrenti, è stata anche l´orbita dei diritti che gravita attorno al bambino, al quale deve essere garantito un solido contesto familiare.
Il bambino non ha rappresentato altro che il frutto di un progetto condiviso dalle due donne ricorrenti, manifestazione dell´affetto e della solidarietà reciproca, e quindi espressione dell´intenzione delle stesse di creare una famiglia.
La Cassazione, valutando il ricorso ammissibile, lo accoglieva e così obbligava il Comune veneziano a riconoscere che entrambe le donne, seppur con diverso tipo di legame, biologico di una, affettivo dell´altra, fossero madri del minore.
Paola Moscuzza, autrice di questo articolo, si è laureata in Giurisprudenza presso l ´Università degli Studi di Messina, nell´anno 2015.