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Terzo Settore, Governo ha approvato decreti attuativi, nulla sarà più come prima: il quadro giuridico

Con la Legge 6/6/2016 n.106, vigente dal 3/7/2016, la riforma del Terzo Settore è diventata realtà e il 12 maggio 2017, quasi un anno dopo l´approvazione della legge delega, e dopo aver completato il suo iter legislativo solo il decreto recante l´istituzione e la disciplina del servizio civile universale, approvato in via definitiva dal Consiglio dei Ministri il 10 febbraio 2017 e pubblicato in G.U. il 3 aprile 2017, sono arrivati sul tavolo del Governo i decreti delegati attuativi.
L´articolo 1 della legge, richiamando i valori costituzionali, stabilisce che siano riconosciute organizzazioni di volontariato e/o di Terzo Settore quelle che "in attuazione del principio di sussidiarietà e in coerenza con i rispettivi statuti o atti costitutivi promuovono e realizzano attività di interesse generale mediante forme di azione volontaria e gratuita o di mutualità o di produzione e scambio di beni e servizi".

Il Governo ha approvato i testi sul Codice del Terzo settore, sulla disciplina dell´impresa sociale e sul cinque per mille. Testi che, come da prassi, passeranno al vaglio delle Commissioni parlamentari competenti sia alla Camera che al Senato, oltre che della Conferenza Stato Regioni, per i pareri del caso, prima di tornare in Consiglio dei Ministri per l´approvazione definitiva.
Il testo più delicato è quello che porta alla nascita del Codice del Terzo Settore, cioè un insieme di disposizioni giuridiche e fiscali destinato a regolamentare la vita degli enti di terzo settore, che, rispetto a quelli dedicati al cinque per mille e all´impresa sociale, modificherà significativamente l´esistenza delle organizzazioni e segnerà il successo o meno dell´intero processo di riforma e razionalizzazione.
In un recente testo che sta circolando, definito Schema di decreto legislativo recante "misure di sostegno allo sviluppo del terzo settore", vengono affrontate problematiche, inerenti la funzione e composizione delle Reti Associative, il Consiglio nazionale del terzo settore, il Fondo per il finanziamento di progetti e attività di interesse generale nel terzo settore e i Centri di servizio per il volontariato, che mettono in luce i contrasti tra lo stesso e quanto affermato nella legge delega.
Le reti associative sono le organizzazioni private senza scopo di lucro che: a) associno, anche indirettamente attraverso gli enti ad esse aderenti, un numero non inferiore a 100 enti, o, in alternativa, almeno 30 fondazioni, che siano iscritti nel Registro unico nazionale del Terzo settore di cui all´art. 4, c.1, lett. m), della legge, e le cui sedi legali o operative siano presenti nel territorio della medesima regione o provincia autonoma; b) svolgano, anche attraverso l´utilizzo di strumenti informativi idonei a garantire conoscibilità e trasparenza in favore del pubblico e dei propri associati, attività di coordinamento, tutela, rappresentanza, promozione o supporto degli enti loro associati e delle loro attività di interesse generale, anche allo scopo di promuoverne ed accrescerne la rappresentatività presso i soggetti istituzionali.
Orbene, considerare reti associative di secondo livello, previste dall´art. 4, c. 1, lett. p), della legge, solo quelle che "associano direttamente o indirettamente un numero non inferiore a 500 enti..." è un criterio che taglierebbe fuori moltissime reti di volontariato operanti da tempo a livello territorale e a livello nazionale, realizzando e promuovendo "attività di interesse generale mediante forme di azione volontaria e gratuita...".
Le reti associative possono esercitare, tra le altre, anche attività di monitoraggio degli enti ad esse associati e predisposizione di una relazione annuale al Consiglio nazionale del Terzo Settore.
L´art. 5, c. 1, lett. g), della L. n. 106 /2016, contiene il criterio di delega relativo al superamento del sistema degli Osservatori nazionali per il volontariato e per l´associazionismo di promozione sociale, attraverso l´istituzione del Consiglio nazionale del Terzo Settore, quale organismo di consultazione degli enti del Terzo settore a livello nazionale, la cui composizione valorizzi il ruolo delle reti associative di secondo livello di cui all´articolo 4, comma 1, lettera p).
Il Consiglio nazionale del Terzo Settore sembra non tenere assolutamente conto dei limiti e delle criticità più volte segnalate rispetto all´Osservatorio Nazionale per il volontariato riguardanti le necessarie procedure democratiche nel comporlo e nel suo funzionamento, salvaguardandone l´autonomia e superando una dimensione puramente consultiva.
Infatti, il numero dei componenti del Consiglio previsti dallo Schema è di ventuno e di questi solo dieci sono rappresentanti del terzo settore; nulla è previsto riguardo le forme di partecipazione a livello territoriale.
L´Organismo nazionale di controllo, previsto dal testo del Decreto, dovrebbe assumere forma e funzioni di Organismo nazionale di coordinamento, che ripartisca le risorse, coordini l´azione degli Organismi di controllo territoriali, e che questi ultimi siano indipendenti e non già uffici territoriali dell´Organismo nazionale, dotati di soggettività giuridica in base a quanto previsto dalla Legge Delega.
Infine, la L. n. 106/2016 nello stabilire una "revisione del sistema dei centri di servizio per il volontariato" ha fatto esplicito riferimento all´attuale art. 15 della L. 266/91, relativo al finanziamento dei CSV, indicando con precisione gli ambiti nei quali la revisione andava attuata, senza prevedere, quindi la totale perdita del carattere regionale di tali fondi indicata dall´art. 15, ma l´"applicazione di elementi di perequazione territoriale", per cui più che un Fondo Unico Nazionale, al quale affluiscono tutti i fondi, sarebbe equo costituire un fondo nazionale per la perequazione, stabilendo che una parte dei fondi (oggi il 50%) sia attribuita alle regioni dove essi si originano, affiancando e non sostituendo i fondi regionali previsti dall´art.15 della legge 266/91.
Nella legge delega non si parla di abolizione del c. 3 dell´art. 15 della L. 266/91 ed è questo un aspetto particolarmente importante, in quanto l´essere volontari è un diritto fondamentale del cittadino (sent. Corte Cost. nn. 75 e 355), garantito dai servizi dei CSV e che va regolato dallo Stato. Pertanto, i criteri di istituzione e funzionamento dei CSV debbono essere definiti con decreto ministeriale, tenuto conto che la funzione degli organi di controllo è legittima e necessaria se ad essa ci si attiene, al fine di provvedere "alla programmazione del numero e della collocazione dei centri di servizio, al loro accreditamento e alla verifica periodica del mantenimento dei requisiti", senza stabilire e controllare le scelte strategiche, la cui determinazione l´art. 15 della L. 266/91 assegna al Volontariato stabilendo che si tratta di "centri di servizio a disposizione delle organizzazioni di volontariato e da queste gestiti".
scritto da Carmela Patrizia Spadaro (Avvocato del Foro di Catania)

 

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