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T.A.R. Lombardia: l’immobile industriale non può essere luogo di culto e di preghiera

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 Il T.A.R. Lombardia ha recentemente affrontato la delicata questione relativa alla possibilità che immobili come capannoni industriali, artigianali, commerciali siano adibiti a luoghi di culto e di preghiera, giungendo alla categorica esclusione di detta possibilità, considerata l'intrinseca violazione della normativa urbanistica vigente che prescrive il previo titolo edilizio del permesso di costruire anche per il mutamento di destinazione d'uso seppure in assenza di opere edilizie.

I fatti di causa: l'associazione culturale ricorrente ha impugnato, tra gli altri, il provvedimento con il quale il Comune resistente aveva disposto la cessazione dell'utilizzo di un dato immobile come luogo di culto preannunciando altresì l'acquisizione al patrimonio comunale e la sanzione amministrativa pecuniaria, per contrasto con la destinazione urbanistica dell'area, in assenza del permesso di costruire per il mutamento di destinazione d'uso relativo, previsto dalla normativa regionale (art. 52 comma 3 bis L.R. n. 12/2005).

Tramite il ricorso introduttivo l'associazione ha censurato l'ordinanza comunale per violazione dell'art. 52 della citata Legge regionale e delle disposizioni del P.G.T., nonché per eccesso di potere per travisamento dei presupposti di fatto e di diritto, per carenza di istruttoria e difetto di motivazione.

Secondo l'opinione della ricorrente, infatti, nel caso di specie tecnicamente non ricorrerebbe alcun cambio di destinazione d'uso, atteso che l'immobile de quo appare classificato dallo strumento urbanistico in ambiti industriali, artigianali, commerciali, direzionali e il P.G.T. sembrerebbe includere le attività culturali tra le attività consentite in tale ambito, atteso che il Piano di Governo del Territorio prevede espressamente quali destinazioni d'uso debbano ritenersi escluse (UR, UA, UC/3, UC4), lasciando intendere così, secondo la ricorrente, che l'attività culturale, non essendo ricompresa tra le destinazioni vietate, sia conseguentemente ammessa.

La ricorrente ha altresì denunciato la violazione del principio di legalità e tipicità dei provvedimenti amministrativi, violazione dell'art. 31 del d.P.R. n. 380/2001, degli artt. 42 e 97 della Costituzione, dell'art. 1 del protocollo n. 1 della Convenzione europea dei diritti umani, considerato che il Comune resistente aveva preteso di sanzionare un'attività culturale con la sanzione tipicamente prevista per reprimere l'attività edilizia abusiva.

In estrema sintesi, secondo l'associazione ricorrente l'Ente aveva colpito il tipo di frequentazione dell'immobile e non l'immobile di per se stesso.

 Il Comune si è costituito, difendendo il suo operato e chiedendo il rigetto del ricorso.

Il Tribunale amministrativo ha ritenuto il ricorso infondato in parte qua.

Considerato un dato incontestato, dal punto di vista fattuale, che l'immobile venga utilizzato come luogo di culto e non solo come sede di attività associativa, il Collegio giudicante ha evidenziato che il rilevante numero di persone, che entra nell'immobile, in occasione delle feste religiose, palesa un utilizzo dei locali che, per la sua incidenza urbanistica ed edilizia, necessita del previo rilascio di un permesso di costruire (cfr. Tar Lombardia, Milano, sez. II, 8 novembre 2013, n. 2486, secondo cui la destinazione funzionale a luogo di culto può dirsi impressa allorché l'edificio costituisca un forte centro di aggregazione umana).

Atteso che le attività industriali o artigianali e quelle culturali e di culto rappresentano categorie funzionali autonome, il T.A.R. ha rilevato che per ciascuna di esse si impone l'acquisizione del titolo edilizio abilitativo, che nel caso oggetto del giudizio non è mai stato rilasciato (cfr. T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. II, 17 febbraio 2016 n. 344; Cons. Stato, Sez. IV, 27 ottobre 2011 n. 5778).

Il Tribunale, dunque, ha condiviso il dato che il comportamento contestato, urbanisticamente rilevante, sia lo specifico uso del bene come luogo di culto e di preghiera, ma contestualmente evidenzia che detta destinazione presuppone necessariamente il rilascio del permesso di costruire per espressa previsione dell'art. 52, comma 3 bis, L.R. 12/2005.

Ciò perché un mutamento di destinazione d'uso, anche se non comporta la realizzazione di opere edilizie, non può comunque escludere la valutazione sull'impatto urbanistico.

Conseguentemente, la tesi di parte ricorrente laddove afferma che non essendo vietata espressamente la destinazione a luogo di culto, è implicitamente autorizzata, non può essere accolta, perché la stessa indicazione delle destinazioni ammesse deve intendersi come tassativa.

 Inoltre, il T.A.R. ha ritenuto infondata anche l'ulteriore censura relativa all'asserito erroneo richiamo all'art. 31 del d.P.R. 380/2001 per le opere eseguite in assenza di permesso di costruire, in virtù del quale l'associazione sarebbe privata della proprietà del bene, solo per il fatto del tipo di frequentazione dell'immobile e non per una violazione edilizia.

Premesso che non è messo in dubbio che i locali siano adibiti a luogo di culto, il Tribunale ha ribadito che il Legislatore regionale ha imposto l'obbligatorietà del titolo edilizio ai fini del conseguimento della destinazione di un immobile a luogo di culto, anche in assenza di opere edilizie.

Infatti, per evitare che, attraverso la liberalizzazione dei cambi di destinazione d'uso stabilita dall'art. 51 della L.R. n. 12/2005, siano realizzate innovazioni di grande impatto sul tessuto urbano senza un preventivo esame da parte dell'amministrazione, l'art. 52, comma 3 bis, L.R. n. 12/2005 dispone espressamente che: "i mutamenti di destinazione d'uso di immobili, anche non comportanti la realizzazione di opere edilizie, finalizzati alla creazione di luoghi di culto… sono assoggettati a permesso di costruire".

Ebbene, poiché ai sensi dell'art. 32, comma 1, lett. a), d.P.R. n. 380/2001, il mutamento della destinazione d'uso costituisce variazione essenziale ex art. 31 dello stesso d.P.R. nel caso in cui abbia comportato variazione degli standard previsti dal d.m. 2 aprile 1968 n. 1444, il richiamo alla disposizione è stato ritenuto corretto.

E la stessa preannunciata acquisizione del bene al patrimonio comunale è conseguenza prevista dall'art. 31 in caso di inottemperanza all'ordine di ripristino; trattasi, ancora una volta, di attività vincolata che discende dall'applicazione della norma che regola la fattispecie dell'abuso commesso in assenza del permesso di costruire.

Il Tribunale amministrativo quindi ha ritenuto legittimo, sotto detti profili, il comportamento della P.A..

Per questi motivi, l'adito T.A.R. ha rigettato il ricorso e ha compensato le spese di lite.

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