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Sul diritto allo studio dei bimbi disabili: che la scuola adempia ai suoi obblighi

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 Tramite la sentenza n. 9720/2018 la Sezione Terza bis del T.A.R. Lazio ha riconosciuto l'obbligo esistente in capo all'Amministrazione scolastica di allestire tutte le misure compensative e rimediali più opportune e appropriate a consentire all'alunno affetto da Disturbo Specifico dell'Apprendimento di colmare il deficit nell'apprendimento e di raggiungere un adeguato livello di preparazione.

I fatti di causa: la madre di una bambina affetta da Disturbo Specifico dell'Apprendimento – DSA – ha impugnato davanti al T.A.R. Lazio il provvedimento con il quale la piccola non era stata ammessa alla classe terza della scuola secondaria di primo grado.

La motivazione di detto provvedimento di mancata ammissione era espressamente individuata nella parziale o mancata acquisizione dei livelli di apprendimento in una o più discipline, in particolare gli atti gravati discorrono di uno "scarso interesse, impegno incostante, scarsa riflessione sul ruolo dello studente".

Detta motivazione è stata ritenuta dalla ricorrente del tutto illegittima, poiché quanto riscontrato dall'Istituto scolastico non poteva di certo essere ascritto a una generale svogliatezza della minore bensì alla patologia della piccola.

Dettaglio questo del quale l'Istituto scolastico non poteva non essersi avveduto, atteso che la ricorrente, all'inizio dell'anno scolastico, aveva depositato presso il medesimo Ente apposita certificazione sanitaria attestante il citato DSA, e ciò nella vana speranza che l'Istituto potesse destinare alla minore particolare attenzione e adeguato supporto durante il corso dell'anno scolastico al fine di garantire il rendimento della piccola.

Tuttavia, non solo l'Istituto scolastico non aveva approntato alcuna forma di supporto, ma addirittura aveva scambiato il DSA della minore per scarso interesse e impegno incostante, conclusione resa ancor più grave ove si consideri che detto "fraintendimento" è stato esternato esclusivamente in sede di scrutinio finale senza previamente avvertire i genitori della piccola, che per ciò solo erano stati estromessi da qualsivoglia partecipazione nella vita scolastica della minore, partecipazione che, nel caso di specie, si sarebbe verosimilmente estrinsecata quanto meno nell'evidenziare agli insegnanti il DSA comunque già precedentemente comunicato.

La ricorrente ha dovuto precisare davanti all'adito T.A.R. che chi ha deficit di apprendimento – siamo ai livelli nozionistici della questione – ha difficoltà di concentrazione e non scarso interesse, che genera impegno incostante come logica conseguenza e ha dovuto altresì denunciare, suo malgrado, che nulla, ma proprio nulla, è stato fatto per aiutare la piccola in questa oggettiva difficoltà.

L'Amministrazione si è costituita in giudizio incentrando la sua difesa sul dato che il certificato di un "Disturbo specifico dell'apprendimento" non meglio precisato, rilasciato dal dott. –OMISSIS - infatti, non risulta supportato da alcuna specifica indicazione utile ai fini dell'adozione di una valida e appropriata strategia educativo-didattica".

L'Istituto scolastico, in estrema sintesi, si è trincerata dietro la mancata indicazione da parte del medico specialista delle specifiche strategie e tecniche che la scuola avrebbe dovuto adottare per agevolare la minore nell'apprendimento.

 Ebbene, il Tribunale Amministrativo ha ritenuto il ricorso meritevole di accoglimento.

Ha osservato preliminarmente il Collegio che l'art. 6 del D.M. n. 5669/2011 impone che le Istituzioni scolastiche adottino modalità valutative che consentono all'alunno o allo studente con DSA di mostrare effettivamente il livello di apprendimento raggiunto mediante l'applicazione di misure che determinino le condizioni ottimali per l'espletamento della prestazione da valutare.

Il Collegio, invero, non ha condiviso affatto la difesa dell'Istituto scolastico basata sulla mancata indicazione da parte del medico specialista del tipo di strategia educativo-didattica da adottare, ritenendo che non possa l'Istituzione scolastica trincerarsi, onde giustificare l'omessa adozione di misure compensative del disagio nell'apprendimento, dietro una presunta carente indicazione da parte della struttura sanitaria specialistica di rimedi e strumenti utili all'allestimento di strategie di recupero, atteso che l'individuazione di siffatte misure rientra nella sfera di competenza dell'Amministrazione scolastica, la quale può, in ipotesi, anche avvalersi di consulenti da essa prescelti ma non può certo demandare ai sanitari che abbiano diagnosticato il deficit nell'apprendimento, l'individuazione delle misure di contrasto alla patologia riscontrata in un alunno.

È, dunque, compito della scuola individuare le più opportune strategie di recupero onde permettere alla discente di fronteggiare il gap nell'apprendimento.

L'art. 5, comma 2 della L. n. 170/2010 stabilisce, invero, che "Agli studenti con DSA le istituzioni scolastiche, a valere sulle risorse specifiche e disponibili a legislazione vigente iscritte nello stato di previsione del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, garantiscono l'introduzione di strumenti compensativi, compresi i mezzi di apprendimento alternativi e le tecnologie informatiche, nonché misure dispensative da alcune prestazioni non essenziali".

A opinione del Collegio giudicante, appare chiaro dalla disposizione appena riportata, l'obbligo esistente in capo all'Amministrazione scolastica di allestire tutte le misure compensative e rimediali più opportune e appropriate a consentire all'alunno affetto da Disturbo Specifico dell'Apprendimento, di colmare il deficit nell'apprendimento e di raggiungere un adeguato livello di preparazione.

Ma v'è di più: il Collegio ha ricordato precedenti giurisprudenziali in base ai quali non appare neanche necessario che sia il genitore a dover fornire la prova del DSA mentre dovrebbero essere gli stessi insegnanti a rendersi conto della patologia e ad attivare i necessari rimedi nell'interesse del discente: "Ove la scuola sospetti un disturbo specifico dell'apprendimento a carico di un discente deve, senz'altro, attivarsi al fine di suscitare la relativa diagnosi che, se confermativa, costituisce il presupposto per l'attivazione dei rimedi di cui parla l'art. 5, L. n. 170 del 2010, i quali sono stati reputati dal Legislatore idonei a garantire l'apprendimento con metodi alternativi a quelli tradizionali ai minori affetti dai disturbi in questione".

 Orbene, nel caso oggetto del giudizio, il Collegio ha constatato la presenza agli atti di causa della specifica relazione diagnostica dell'unità multidisciplinare di neuropsichiatria infantile dell'AUSL, la quale attesta la sussistenza nella persona della minore del Disturbo Specifico dell'Apprendimento e afferma che "al fine di garantire il successo formativo e il diritto allo studio" la minore "necessita di attenzione particolare a bisogni e processi formativi".

Tale certificazione era stata tempestivamente inviata all'Istituto dai genitori della minore con raccomandata a.r..

Alla luce di siffatta certificazione diagnostica, debitamente fatta pervenire alla scuola dalla ricorrente, è stato dunque ritenuto che l'Istituto sia stato posto in condizione di conoscere la patologia di cui era affetta la minore ed era, quindi, in grado di apprestare le misure compensative necessarie e opportune al fine di consentire alla minore di conseguire un sufficiente livello di preparazione.

Cosa che non è avvenuta.

La Scuola, pertanto, è venuta meno al delineato obbligo determinando l'illegittimità del provvedimento finale di riprovazione dell'alunna, con conseguente necessità di annullamento dello stesso.

Per questi motivi il T.A.R. Lazio ha dichiarato illegittimo il provvedimento impugnato e lo ha annullato, conseguendone, per l'effetto conformativo della sentenza, l'obbligo della Scuola di sottoporre a rivalutazione la discente, tenendo conto nella omessa adozione di misure compensative atte a superare il deficit di apprendimento che la affligge, con conseguente condanna della P.A. alle spese di lite.

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