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Il principio di massima.
L'illecito permanente si configura in tutti i casi in cui la durata dell'offesa è correlata – sul piano eziologico – al permanere della condotta colpevole dell'agente; si configura, invece, l'illecito istantaneo ad effetti permanenti, quando perdurano nel tempo solo le conseguenze della violazione, pur quando sia già cessata la condotta illecita. Deve, pertanto, ritenersi che l'illecito sia permanente quando la situazione illecita viene instaurata dalla condotta iniziale, a cui si accompagna il mantenimento della medesima situazione, di fatto e/o di diritto, sicché, per la cessazione dell'offesa agli interessi tutelati, è necessaria un'ulteriore condotta, contraria alla precedente, idonea a rimuovere la predetta situazione.
Cassazione, sez. lav., sentenza 2 maggio 2024, n. 11870.
Il caso.
La dipendente di una banca ricorreva al Tribunale per ottenere l'accertamento del demansionamento ed il conseguente ordine di reintegrazione nelle mansioni precedentemente svolte, oltre al risarcimento dei danni.
Il Tribunale accoglieva le domande ed ordinava alla banca la reintegra della ricorrente nelle mansioni precedentemente svolte e la condannava al risarcimento del danno da dequalificazione professionale, che liquidava in una somma pari al 50% della retribuzione globale di fatto mensile percepita dalla ricorrente, moltiplicata per il numero dei mesi di adibizione alle mansioni inferiori.
Su ricorso della Banca, la Corte d'Appello, in parziale riforma della sentenza di primo grado, riduceva l'entità del risarcimento dei danni da dequalificazione professionale e rigettava la domanda di reintegrazione nelle precedenti mansioni.
Secondo la Corte Territoriale, nel quantificare i danni, il Tribunale non aveva considerato la natura di illecito permanente del danno alla professionalità, caratteristica che impone di valutare l'illiceità della condotta con riferimento alla disciplina legislativa e contrattuale vigente giorno per giorno, con l'ulteriore conseguenza per cui il mutamento di mansioni che può essere considerata illegittimo in un certo momento, può non esserlo più in un momento successivo.
A parere del collegio, nella fattispecie in considerazione, in cui la condotta datoriale, iniziata durante la vigenza del testo originario dell'art. 2103, c.c., si era protratta anche dopo la modifica di tale articolo ad opera del d.lgs. n. 81/2015, il danno andava liquidato nella misura del 50% della retribuzione globale di fatto mensile percepita dalla ricorrente, solo relativamente al periodo antecedente l'introduzione della novella di cui al d.lgs. n. 81/2015, ma non per il periodo successivo.
Da ciò conseguiva l'infondatezza delle doglianze della lavoratrice per il periodo successivo all'entrata in vigore del citato d.lgs. n. 81/2015, atteso che le nuove mansioni a lei assegnate, alla luce della riforma, erano comunque riconducibili al livello di inquadramento di appartenenza, sicché non poteva nemmeno essere disposta la reintegrazione nelle mansioni svolte in precedenza, perché, ormai, le successive erano da ritenere lecitamente assegnate a decorrere dall'entrata in vigoredel d.lgs. n. 81/2015.
Per la cassazione di tale sentenza, la lavoratrice proponeva ricorso, articolato su vari motivi, tra cui la falsa applicazione dell'art. 2103 del codice civile.
Secondo la lavoratrice il danno da demansionamento non andava qualificato come illecito permanente, bensì quale illecito istantaneo con effetti permanenti, con la conseguenza che la nuova disciplina introdotta dal d.lgs. n. 81/2015 non trovava applicazione nel caso di specie, dal momento che l'atto datoriale illecito era stato compiuto in data antecedente all'entrata in vigore di tale norma.
La decisione della Corte d Cassazione.
Il collegio dopo aver precisato che, in tutte le branche del nostro ordinamento (civile, penale, amministrativa) l'illecito permanente è quello in cui l'offesa arrecata al diritto o all'interesse protetto si protrae nel tempo per effetto della persistente condotta volontaria, ha affermato che l'adibizione a mansioni inferiori va ricondotto proprio a tale categoria di illecito.
Lo stesso concetto di "adibizione", si legge nella sentenza in commento, implica l'esercizio di un potere che si protrae nel tempo, perché si traduce in un'assegnazione di determinate mansioni nell'ambito di un rapporto giuridico di durata (quello di lavoro subordinato) e nel loro mantenimento, sicché il destinatario di quell'assegnazione è obbligato a svolgerle giorno dopo giorno, fino a quando non intervenga un nuovo atto di esercizio di ius variandi, ossia fino a quando non intervenga un nuovo atto di "adibizione", che – in ipotesi – faccia cessare la situazione illecita mediante l'assegnazione di mansioni consone.
Quindi, quell'atto originario di ius variandi instaura una situazione, di fatto e di diritto, naturalmente destinata a protrarsi nel tempo e che si protrae proprio in virtù di una scelta volontaria del datore di lavoro.
Secondo la Corte, a nulla rileva che l'atto datoriale che instaura la situazione antigiuridica sia uno, atteso che quello è solo l'atto iniziale che, appunto, ha la funzione di instaurare la situazione antigiuridica, pur restando fermo che la condotta datoriale illecita non si esaurisce con quell'atto, ma si protrae con il volontario mantenimento di quell'adibizione giorno per giorno, fino a quando tale protrazione non cessi con un nuovo atto di adibizione ad altre mansioni.
Da tale impostazione discende, che, per la frazione di condotta tenuta sotto la vigenza della nuova norma (introdotta dal d.lgs. n. 81/2015), questa trova applicazione, dunque ex nunc, senza alcuna violazione del principio di irretroattività posto dall'art. 11 delle disposizioni preliminari al codice civile.
Pertanto, conclude la Cassazione, qualora le nuove mansioni non fossero più qualificabili come "inferiori" alla luce della nuova formulazione dell'art. 2103 c.c., effettivamente quella condotta, ancora perdurante, perderebbe il suo connotato di illiceità.
Infatti, con il d.lgs. n. 81/2015 il legislatore non si è limitato a disciplinare gli "effetti" dello ius variandi, ma ha dettato una nuova regolamentazione dell'esercizio di questo potere datoriale, quindi una nuova disciplina della "fattispecie", integrata dalla volontaria decisione datoriale di mutare l'oggetto della prestazione lavorativa (e quindi del contratto) e di mantenere mutato così l'oggetto.
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Paola Mastrantonio, avvocato; amante della libertà, della musica e dei libri. Pensiero autonomo è la mia parola d'ordine, indipendenza la sintesi del mio stile di vita. Laureata in giurisprudenza nel 1997, ho inizialmente intrapreso la strada dell'insegnamento, finché, nel 2003 ho deciso di iscrivermi all'albo degli avvocati. Mi occupo prevalentemente di diritto penale. Mi sono cimentata in numerose note a sentenza, pubblicate su riviste professionali e specializzate. In una sua poesia Neruda ha scritto che muore lentamente chi non rischia la certezza per l'incertezza per inseguire un sogno. Io sono pienamente d'accordo con lui.