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Cassazione Penale: sanzioni disciplinari pretestuose a dipendenti pubblici, scatta reato abuso d´ufficio.

E’ stata la Sesta Sezione Penale della Corte di Cassazione a stabilirlo con la sentenza del 18 febbraio 2016 n. 6665.
Il fatto: alcuni dipendenti pubblici venivano sottoposti ad un procedimento disciplinare dagli organi amministrativi a ciò preposti , alla fine del quale venivano irrogate diverse sanzioni.
Della questione veniva interessata la Procura della Repubblica di Viterbo che avviava delle indagini ex art. 323 CP (abuso d’ufficio) nei confronti dei responsabili dell’Ente Pubblico economico che avevano irrogato le sanzioni disciplinari. Il fatto acquisiva profili di responsabilità penale in quanto le sanzioni erano state irrogate sulla base di presupposti inesistenti e avevano cagionato un danno ingiusto ai soggetti che li avevano subite.
Il Giudice delle Indagini Preliminari di Viterbo dichiarava il non luogo a procedere in relazione ai reati di abuso d’ufficio. Tale decisione veniva motivata in considerazione del fatto che i rapporti di lavoro tra i soggetti interessati e l’amministrazione (ATER azienda per l’edilizia residenziale pubblica) da cui dipendevano, sono regolati da norme del codice civile e quindi di natura privatistica, non idonee pertanto a costituire quella violazione di legge o regolamento necessaria ad integrare la fattispecie dell’abuso d’ufficio. Avverso tale sentenza presentava ricorso il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Viterbo chiedendone l’annullamento per diversi motivi e tra questi in quanto nel caso di specie non si trattava di mettere in discussione e quindi di censurare comportamenti posti in essere in violazione di norme di natura privatistica che disciplinano il rapporto di lavoro, bensì comportamenti legati all’esercizio del potere attribuito all’ufficio della commissione disciplinare e quindi in qualità di pubblici ufficiali o incaricati di pubblico servizio che secondo la contestazione è stato esercitato non per uno scopo pubblico, ma sulla scorta della insussistenza degli addebiti contestati, per un interesse personale degli imputati a discapito dei dipendenti sottoposti a procedimento disciplinare.
La Corte di Cassazione ha pienamente accolto le motivazioni addotte dal ricorrente Procuratore della Repubblica in ordine alla contestazione della figura del reato di abuso di ufficio. Infatti ha sostenuto la Corte che diversamente da quanto argomentato dal GIP del Tribunale di Viterbo, nel caso de quo, la condotta dell’abuso d’ufficio non riguarda la violazione di norme disciplinante il rapporto di lavoro ma l’esercizio da parte del pubblico ufficiale del potere allo stesso attribuito quale componente dell’ufficio esercente la funzione disciplinare che è materia regolata dalla legge. ( art 2106 cod. civ.; L. 20 maggio 1970 n. 300 art. 7(c.d. Statuto dei Lavoratori) e dal D.Lgs.30marzo 2001 n 165 artt. da 54 a 55-octies, come modificati con D.Lgs 27 ottobre 2009 n. 150.
La Corte ha sostenuto che dal quadro normativo indicato si evidenzia che lo stesso è certamente suscettibile di integrare la violazione dell’art. 323 CP qualora ci sia stata la inosservanza delle disposizioni fissate in materia di procedimento disciplinare dalla legge. Quando cioè, come nel caso di specie, almeno secondo l’impianto accusatorio, le norme del procedimento disciplinare siano state utilizzate non in funzione dell’interesse pubblico, ma per motivi pretestuosi e personali
Per questa e per altre motivazioni attinenti ad altri aspetti, in questa sede non presi in esame, la Corte annullava la sentenza del GIP e rinviava al Tribunale di Viterbo per una nuova deliberazione
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