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Con l'ordinanza n. 16740 depositata lo scorso 6 agosto, la I sezione civile della Corte di Cassazione, chiamata a pronunciarsi su una separazione con addebito, ha confermato la legittimità della decisione del giudice di merito che, pur avendo addebitato la separazione al marito, non aveva accolto la richiesta della moglie di ottenere un assegno di mantenimento elevato quale conseguenza del riconosciuto addebito.
La Corte ha difatti precisato che l'addebito della separazione, di per sé considerato, non è fonte di responsabilità extracontrattuale ex art. 2043 c.c., determinando, nel concorso delle altre circostanze specificamente previste dalla legge, solo il diritto del coniuge incolpevole al mantenimento, con la conseguenza che la risarcibilità dei danni ulteriori è configurabile solo se i fatti che hanno dato luogo all'addebito integrano gli estremi dell'illecito ipotizzato dalla clausola generale di responsabilità espressa dalla norma citata.
Nel caso sottoposto all'attenzione della Cassazione, il Tribunale di Salerno dichiarava la separazione personale fra i coniugi, addebitandola al marito attesa la violazione del dovere di fedeltà e quantificava in Euro 1.600,00 mensili l'assegno posto a suo carico per il mantenimento della moglie, con condanna al pagamento delle spese processuali.
Avverso la sentenza del Tribunale di Salerno proponeva appello la moglie censurando le ragioni della decisione relative alla quantificazione dell'assegno di mantenimento a lei attribuito, chiedendo pertanto che l'assegno in suo favore venisse aumentato ad Euro 5.500,00 mensili.
La Corte di Appello di Salerno confermava la sentenza pronunciata dal Tribunale.
Ricorrendo in Cassazione, la donna denunciava violazione e falsa applicazione degli artt. 151 e 153 c.c., eccependo come, nel caso in esame, la pronuncia di addebito era rimasta priva di sanzione e vuota di contenuto, avendo la Corte di appello confermato l'esiguo importo dell'assegno di mantenimento, senza tener conto delle conseguenze derivanti dall'addebito della separazione.
La Cassazione non condivide le difese formulate dalla ricorrente.
La Cassazione evidenzia come la ricorrente confonda gli istituti dell'addebito della separazione con quello del diritto al mantenimento.
In particolare, l'addebito della separazione, di per sé considerato, non è fonte di responsabilità extracontrattuale ex art. 2043 c.c., determinando, nel concorso delle altre circostanze specificamente previste dalla legge, solo il diritto del coniuge incolpevole al mantenimento, con la conseguenza che la risarcibilità dei danni ulteriori è configurabile solo se i fatti che hanno dato luogo all'addebito integrano gli estremi dell'illecito ipotizzato dalla clausola generale di responsabilità espressa dalla norma citata.
Nel caso in cui sia accertata la responsabilità di un coniuge nella fine del matrimonio, il coniuge incolpevole ha diritto sì all'assegno di mantenimento, ma la sua quantificazione prescinde dalla statuizione sull'addebito e presuppone la correlazione dell'adeguatezza dei redditi con il tenore di vita goduto in costanza di matrimonio.
Ne deriva che, coerentemente con il disposto dell'art. 156 c.c., l'assegno di mantenimento realizza l'obbligo di assistenza materiale in favore del coniuge che versa in una posizione economica deteriore e non è in grado, con i propri redditi, di mantenere un tenore di vita analogo a quello offerto dalle potenzialità economiche dei coniugi. In merito alla sua quantificazione, posto che la norma parla "redditi adeguati", occorre far riferimento al tenore di vita consentito dalle possibilità economiche dei coniugi: è necessario, quindi, dapprima appurare se i mezzi economici di cui dispone il coniuge richiedente gli consentano o meno di conservare un tenore di vita analogo a quello offerto dalle potenzialità economiche dei coniugi e, nel caso di esito negativo di detto accertamento, bisogna procedere con una valutazione comparativa dei mezzi di cui dispone ciascun coniuge, tenendo conto non solo dei redditi delle parti, ma anche di altre circostanze non indicate specificatamente, né determinabili "a priori", da individuarsi in tutti quegli elementi fattuali di ordine economico, o comunque apprezzabili in termini economici, diversi dal reddito ed idonei ad incidere sulle condizioni economiche delle parti.
Con specifico riferimento al caso di specie, gli Ermellini evidenziano come la sentenza impugnata abbia seguito tale orientamento, in quanto, nel quantificare l'assegno di mantenimento, ha tenuto conto delle "attuali condizioni economiche" della ricorrente, nonché dei redditi del marito come accertati a seguito delle indagini espletate dalla Guardia di Finanza.
Compiute queste precisazioni, la Cassazione rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità in favore del controricorrente e al il versamento dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso.
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